I media celebrano la discesa dei contagi in Germania dopo la stretta per i non vaccinati come prova dell’efficacia delle limitazioni. In realtà, i divieti sono più blandi dei nostri e i malati erano già diminuiti. Ma, pur di giustificare nuove restrizioni, si diffondono bugie.

(Maurizio Belpietro – laverita.info) – Una bufala è una bufala e resta tale anche se la scrivi cento volte su cento testate diverse. In Germania non c’è stato alcun lockdown che abbia consentito di invertire la curva dei contagi, come invece ha riportato ieri la quasi totalità della stampa italiana. Semplicemente, di fronte a una quantità allarmante di positivi, i Land più colpiti hanno introdotto alcune limitazioni più blande di quelle già in vigore da noi. In pratica, è stato istituito l’obbligo del 3G, cioè di un certificato di vaccinazione, oppure di uno di guarigione o di un tampone eseguito nelle ultime 24-48 ore per poter accedere a ristoranti, teatri e palestre. Niente di tutto ciò è richiesto per poter entrare in fabbrica o in ufficio. Qualche governo regionale ha imposto il 2G, ovvero l’ingresso consentito solo a chi sia in grado di dimostrare di aver ricevuto almeno la seconda dose oppure di aver avuto il Covid e di esserne guarito. Secondo la stragrande maggioranza dei giornali italiani, ciò dimostrerebbe che rinchiudere in casa i non vaccinati (cosa che non è avvenuta), come qualche presunto esperto sta suggerendo di fare nel nostro Paese per abbassare la curva dei contagi, consentirebbe di impedire la diffusione del virus. In realtà, chi conosce la situazione e non si limita ai titoli dei quotidiani, sa benissimo che non esiste alcuna correlazione scientificamente dimostrata tra le misure adottate in Germania e l’andamento dell’epidemia. Prova ne sia che ad Amburgo, città-stato nel nord del Paese, i divieti di cui oggi si parla sono in vigore dalla fine di agosto (giustificati dall’accusa che il 95% dei contagiati fosse no vax, affermazione falsa per cui di recente il sindaco ha chiesto scusa), ma ciò non ha impedito che nei mesi successivi il Covid si diffondesse e che nella settimana fra il 13 e il 26 di dicembre si registrassero quasi 13.000 contagi su una popolazione dell’area metropolitana che è superiore ai cinque milioni. Del resto, che l’abbassamento dei contagi abbia poco a che fare con gli interventi delle autorità, ma l’andamento sia più legato alla stagionalità, lo dimostra il fatto che la curva era in discesa già a fine novembre, prima del finto lockdown. Ma ne è prova anche il fatto che in Romania, Paese con un basso tasso di vaccinazione che non ha adottato le misure della Germania, il flusso dei positivi è comunque in discesa, dopo un periodo di forte crescita. Insomma, a differenza di quanto riportato, il «modello tedesco», come è già stato classificato dalla stampa, insegna poco o nulla, e non c’è molto da imparare neanche da altri Paesi che fino a ieri erano portati in palmo di mano, a cominciare da Israele o dall’Irlanda, dove dopo un periodo di relativa tranquillità e di livelli di immunizzazione elevati, i positivi sono tornati ad aumentare.

Una bufala è una bufala e resta tale anche se a spacciarla è un professore con un fior di curriculum. Abbiamo già avuto modo di raccontare quella diffusa da Matteo Bassetti su contagi e vaccinati in California o quella propalata da Franco Locatelli a proposito dei ricoveri in terapia intensiva sotto i 59 anni o, ancora, quella pronunciata da Fabrizio Pregliasco sulla bassa contagiosità di chi è positivo nonostante il vaccino. Ieri, sul Corriere della Sera, Sergio Abrignani, forse nel tentativo di innescare una guerra tra immunizzati e non, ha accreditato l’idea che più dell’80% delle terapie intensive sia occupato da persone che non hanno ricevuto alcuna dose. In realtà, a guardare i dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità non sembrerebbe. Su quasi 1.200 ricoverati, il 63% era rappresentato da persone non vaccinate, ma il resto dei degenti aveva completato la terapia vaccinale. Nella fretta di addossare ogni colpa ai non vaccinati, dunque Abrignani ha un po’ ecceduto con le percentuali. Cosa che per la verità ha fatto anche il presidente del Consiglio nella conferenza stampa di fine anno, quando ha risposto che i decessi per Covid si registrano quasi tutti fra coloro che hanno rifiutato l’iniezione. È vero che in percentuale, considerando il numero di persone vaccinate, fra i renitenti alla puntura si ha un numero di decessi molto elevato (722), ma in numeri assoluti ci sono anche centinaia di persone che avevano fatto prima, seconda e perfino terza dose (42 con una sola, 991 con due o tre).

Si diceva: una bufala è una bufala e prima o poi non passa inosservata. In Gran Bretagna, di recente, il capo della sanità è stato accusato di aver diffuso statistiche fuorvianti sui ricoveri, sopravvalutando il rischio Omicron per spingere verso restrizioni più severe. Ma nel Regno unito la stampa fa il proprio mestiere, mica quello dei politici o dei tecnici. Infatti, invece di riprodurre a testate unificate ogni notizia, verificano le fonti e se le dichiarazioni non corrispondono al vero ne chiedono conto. Il che non significa essere pro o no vax, significa non spacciare per vero ciò che è falso.