(Grazia Longo – La Stampa) – E dire che non c’era neppure bisogno del Green Pass. Ma un italiano su due ha disertato le urne. Il dato generale definitivo registra una partecipazione al 54,69% in tutta Italia: un record storico negativo di partecipazione al voto. Dal 2010 ad oggi, la minore affluenza si era registrata nel 2017 – con 1. 004 i Comuni al voto – quando aveva votato il 60,07% degli aventi diritto. Lo scorso anno – 764 comuni – l’affluenza era stata del 65,62%, nel 2016 – con le urne aperte un solo giorno – del 61,52% e nel 2019 – 3.685 comuni – del 67,68%. 

Secondo il politologo e sondaggista Roberto D’Alimonte, direttore del Cise (il centro italiano studi elettorali della Luiss), siamo di fronte «alla conferma di una tendenza che va avanti da anni. Il problema è che questa disaffezione alla politica non è stata controbilanciata da fattori contingentali positivi. Intendendo per questi ultimi la scelta non proprio felice dei candidati a sindaco». Secondo il professore al «trend strutturale dell’astensionismo, che con molta probabilità si ripeterà anche alle prossime elezioni politiche, si è aggiunta in questa circostanza specifica la candidatura di aspiranti sindaci con poco appeal».

Di qui la preoccupazione per futuri crolli di partecipazione alle consultazioni politiche «a meno che non arrivi una nuova offerta politica, con messaggi e candidati più attraenti». Per il cofondatore e presidente dell’istituto di sondaggi Ixè, Roberto Weber, le recenti amministrative «vengono dopo una lunga parentesi pandemica di sospensione anche della politica. A questo si aggiungano la presenza nel governo Draghi di forze politiche tra di loro opposte a livello locale e un clima di dissenso generale, il gioco dell’astensionismo è presto fatto».

Il rifiuto del voto sembra sposare un po’ anche la disillusione nei confronti delle istituzioni, al punto da lasciar «intravedere una corrente sotterranea di no vax e no Green Pass tra coloro che non sono andati a votare». Secondo Weber «analizzando il 50% di coloro che non hanno votato, il 10% appartiene al centro sinistra e il 40% al centro destra. Questi ultimi, soprattutto, sono rimasti disorientati dall’atteggiamento di Matteo Salvini, che da un lato appoggia il governo e dall’altro lo critica. Una posizione a metà che non è risultata convincente».

Cristopher Cepernich, sociologo dei media e dei fenomeni politici all’Università degli Studi di Torino, osserva che «a votare sono stati i quartieri benestanti, mentre le periferie hanno disertato le urne. Se dopo il 2013 avevano trovato una rappresentanza nel M5S, stavolta no, e gli elettori hanno preferito non votare. Si rischia anche ai ballottaggi: senza cambio di passo il rischio è che la partecipazione cali ancora».

Tra le grandi città l’affluenza maggiore si è registrata a Bologna, con il 51,16% degli aventi diritto. Ma si tratta del dato di affluenza più basso alle comunali dal dopoguerra: cinque anni fa votò il 59,66% degli elettori. A Roma il dato fa segnare il 48,8%. Cinque anni fa l’affluenza era stata del 57%, otto punti in più dell’attuale. A Milano si sono chiusi i seggi con il 47,7% dei votanti. Nel 2016 erano stati il 54,6% del totale, quando si votò in un solo giorno, e nel 2011 erano arrivati fino al 67,5%.

A Napoli, è andato alle urne il 47,19% degli aventi diritto; cinque anni fa, al primo turno era il 54,12%. A Torino, infine, si è presentato il 48% del totale. Si tratta del dato peggiore della storia. L’afflluenza è stata particolarmente bassa nelle Circoscrizioni che raggruppano le zone più periferiche del capoluogo. Nel 2016, quando era stato segnato il peggior risultato di sempre, la percentuale degli elettori alle urne era rimasta appena sotto il 60%.

L’andamento negativo rispetto agli scorsi anni si presenta anche nei comuni minori e nelle altre regioni, perfino nei pochi casi dove l’astensionismo risulta inferiore alle media nazionale. È il caso della Puglia, che ha visto un’afflluenza media del 63,2%, più alta rispetto al dato nazionale di quasi nove punti, ma più bassa rispetto all’ultima tornata del 2016, quando si attestò al 68,51%. Calo anche in Liguria: ai seggi si è recato il 55,51% dei 142mila aventi diritto nei 52 Comuni interessati dal voto, rispetto al 63% del 2016.