Più studi confermano che il primo protocollo di Roberto Speranza (paracetamolo e vigile attesa) ha aggravato molti casi Covid. Eppure il ministero tace, i medici vengono silenziati e le solerti Procure non mostrano interesse.

(Maurizio Belpietro – laverita.info) – Dovete sapere che per legge il direttore di un giornale è responsabile penalmente e civilmente di ogni notizia che pubblica anche se la notizia non è scritta da lui. In pratica, egli dovrebbe controllare ogni articolo, verificando che sia basato su fatti documentati, che i toni usati nel testo siano contenuti e che la notizia sia di interesse pubblico. Grazie a questa simpatica legge che punisce un direttore per omesso controllo, e che si traduce in una mannaia (che il Parlamento mantiene in funzione per meglio controllare e intimidire la stampa, in particolare quella indipendente che non ha alle spalle un grande editore pronto a sopportare il peso delle cause), anni fa venni condannato a quattro mesi di carcere, oltre a un risarcimento di decine di migliaia di euro. Il motivo? Aver osato pubblicare l’opinione di un senatore in cui inopinatamente si parlava di una guerra tra la Procura di Palermo e l’Arma dei carabinieri. Come si è visto poi, la guerra c’era, prova ne sia che prima di essere assolti, sono finiti sul banco degli imputati i vertici del reparto operativo impegnato contro la mafia. Ma i lauti risarcimenti che i magistrati hanno incassato non sono stati certo restituiti, né qualcuno mi ha chiesto scusa per una condanna che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha contestato, condannando l’Italia per la legge che continua a tener la mannaia del carcere sul collo di chi fa il mio mestiere.

Se ho fatto questa premessa non è per lamentarmi, né per occuparmi del recente caso in cui è coinvolto Vittorio Feltri, per il quale è stata chiesta una condanna a tre anni di carcere per aver scritto delle vicende che coinvolgevano Virginia Raggi sotto un titolo ironico e, se proprio volete, un po’ volgare, ovvero l’ormai conosciutissimo «Patata bollente».

No, se torno sulla questione del carcere per i giornalisti e del controllo delle notizie che noi mettiamo in pagina non è per l’alto numero di citazioni in giudizio che chi non si fa mettere il bavaglio è costretto a subire, ma per raccontarvi che l’altra sera, prima di dare via libera alla pubblicazione di un articolo uscito sul Journal of medical virology sugli effetti della cura anti Covid di Roberto Speranza a base di paracetamolo e vigile attesa, ho chiesto al collega se fosse tutto vero, se avesse approfondito a dovere la questione, in quanto stavamo pubblicando un’accusa pesante, ovvero che molte persone erano morte durante la pandemia proprio perché erano state curate nel modo sbagliato, cioè con una compressa che paradossalmente aumentava l’infezione invece di attenuarla. Alla mia richiesta, il collega Stefano Filippi, un professionista serio che conosco da quasi trent’anni, mi ha risposto rassicurandomi e l’articolo è andato in pagina. Il giorno dopo mi sarei atteso una valanga di reazioni, perché in pratica stavamo dicendo che le cure volute dal ministero facevano male e avevano contribuito a far aumentare i decessi invece di evitarli. Per di più, come è a tutti noto, quando alcuni medici avevano provato a usare cure alternative, Speranza si era messo di traverso, ricorrendo al Consiglio di Stato per ribadire che l’unica profilassi prevista consisteva in Tachipirina (il marchio più noto contenente il principio attivo del paracetamolo) e la vigile attesa. Cioè: prendete una pastiglia che abbassa la febbre (che non è la malattia, ma la reazione dell’organismo all’infiammazione) e pregate che Dio ve la mandi buona.

Ma ora, uno studio dell’Università di Pavia, pubblicato da un’autorevole rivista dice che non solo la cura è sbagliata, ma che è pure controproducente. Tuttavia, sulla stampa e in tv è calata una cappa di silenzio. Bocche cucite pure al ministero, dove nessuno ha osato commentare. Non una smentita, non una presa di posizione, non un sopracciglio sollevato: solo la consegna del no comment.

Risultato, venerdì sera il dottor Sergio Pandolfi, autore dello studio, mi ha scritto una mail per segnalarmi che alcune trasmissioni che lo avevano invitato, dopo il nostro articolo avevano disdetto l’invito, e per questo era pronto a inviarmi una sintesi dettagliata del suo lavoro in cui si ribadiva il concetto: aver usato il paracetamolo per combattere il virus ha aumentato il tasso di ospedalizzazione e, di conseguenza, di mortalità. L’accusa fa accapponare la pelle, perché in pratica, Pandolfi e i suoi colleghi stanno dicendo che molte persone avrebbero potuto essere salvate. Il ricercatore scrive testualmente che la terapia suggerita dal ministero e rivista solo il 26 aprile di quest’anno, di fatto aggrava le condizioni dei pazienti.

Tornando a ciò che scrivevo all’inizio, io faccio il direttore e il mio compito è accertare che una notizia sia vera. E lo studio riportato è certamente vero, visto che è stato pubblicato dal Journal of medical virology. Pandolfi e i suoi autori vantano un curriculum medico di tutto rispetto. E, come prevede la mannaia pronta calare sul collo dei giornalisti, c’è l’interesse pubblico. Dunque, andava e va pubblicato. Soprattutto va pubblicata una domanda al ministro Speranza: ha intenzione di continuare a tacere silenziando la faccenda o ritiene di dover fornire una risposta? Non a me: agli italiani e alle centinaia di migliaia di famiglie che hanno perso un loro caro. Aggiungo una seconda domanda, che mi sembra rientri nel diritto di critica garantito dalla Costituzione: ma oltre a indagare sui festini di Luca Morisi, sulle «lavatrici» di Jonghi Lavarini, sulle balle di Piero Amara e sulle patate bollenti di Feltri, c’è una Procura che senta l’obbligo di approfondire ciò che dicono Pandolfi e i suoi collaboratori? Hanno ragione loro o ha ragione Speranza? Aggiungo che qui non c’è da indagare fra le lenzuola di un politico, ma tra quelle che hanno coperto i corpi di oltre 130.000 vittime. Questa non è una storia di presunti soldi in nero, è la storia nera di una strage.