(Marcello Veneziani) – Sarà un effetto della Taranta, ma in Salento, in Puglia, è nato un nuovo fenomeno politico trasversale. Lo chiamano “mellonismo”, ma il cocomero in questione non si riferisce alla Meloni ma al Mellone, come si dice da queste parti rafforzando la elle. Per la precisione Pippi Mellone, sindaco di Nardò, vicino a Casa Pound che gode di un largo consenso cittadino ed è sostenuto pubblicamente nella sua riconferma dal governatore di Puglia, Michele Emiliano, pidino quanto basta, ecumenico quanto serve, autoreferenziale quanto più è possibile, ma leale e ardito in questo caso, perché professa apertamente la sua ammirazione per il “camerata” Pippi, rende manifesta la sua amicizia pericolosa con il “ fascista” e perfino la sua gratitudine e ammette che non bisogna mai giudicare fermandosi alle etichette e al partito preso. Naturalmente l’intreccio “perverso” tra i due è criticato dalla sinistra locale, il senatore pidino del posto, Dario Stefano, si dissocia e si auto-sospende dal partito per protesta contro il governatore barese dalle larghe spalle e dalle più larghe intese; prima di lui l’ampia Teresa Bellanova è insorta contro il mostruoso amplesso, la presidente dei senatori pidini, Simona Malpezzi ha scomunicato ufficialmente l’abbraccio, ritenendolo inaccettabile, “con un sindaco di estrema destra”… Ma a dir la verità tutti hanno attaccato la provenienza, la collocazione del sindaco ma nessuno ha fatto critiche nel merito al suo operato di sindaco. Magari poi qualcosa troveranno, o meglio a qualcosa si attaccheranno per la campagna elettorale, con il loro candidato sindaco e antagonista. Ma hanno da rinfacciargli solo di avere opinioni diverse e “inaccettabili”. Anche perché Pippi Mellone è benvoluto a Nardò e non solo, ha fatto cose egregie. Nell’augurargli in bocca al lupo, Emiliano ha ricordato che Mellone si è battuto per tutelare i lavoratori delle campagne pugliesi ed è suo merito l’ordinanza di divieto di lavoro nelle ore più calde. Un sindaco sociale, dalla parte dei lavoratori, ha fatto più cose di sinistra lui… E poi le opere pubbliche, il lungomare, il parco urbano, l’abbattimento dell’ecomostro. Mellone stesso in un’intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno (che ha sospeso le pubblicazioni con gran dolore di chi, pugliese, la considera parte integrante della pugliesità, un organo del suo corpo) ha detto con ragionevole trionfalismo che “Nardò è un gigantesco cantiere: abbiamo mobilitato 35 milioni di euro, lavoriamo giorno e notte. Oggi nessun Sindaco può dire che “va tutto bene”, ma la vita è fatta di sfide. Qui va tutto al massimo». Lui invece va in bici, come un sindaco qualunque di sinistra, ma non rinnega la sua vicinanza a casa Pound e il suo diverso giudizio storico sul 25 aprile e sull’antifascismo, ma sa distinguere, sa rendere onore a chi se lo merita, non ha i paraocchi inversi.

Il caso Mellone esplode a pochi giorni dalla morte improvvisa di uno scrittore diventato simbolo del cosiddetto fasciocomunismo: Antonio Pennacchi da Littoria, impropriamente ribattezzata Latina; un radicale libero, fascista di sinistra che si candidò pure con l’ultimo Fini di Futuro e Libertà. Autore di due libri anomali nel panorama narrativo italiano; uno dedicato al Canale Mussolini e l’altro appunto al “fasciocomunista”, da cui fu tratto il film “Mio fratello è figlio unico”. Il fasciocomunismo è una tentazione serpeggiante tra gli eretici scontenti della destra e della sinistra, in passato vivo soprattutto in ambienti del neo-fascismo di sinistra; ha una sua storia antica, risale perfino all’epoca fascista, poi riaffiora nel dopoguerra e riappare negli anni ottanta. Una serie di fidanzamenti e civetterie, mai coronati da nozze, tra esponenti di sponde avverse… Inutile rifare la storia di quel che un tempo chiamavamo Fascio e Martello, a cui noi stessi dedicammo non poche attenzioni; è storia vecchia, ormai, quando le ideologie si usavano ancora e la storia si affacciava nella vita corrente e suggeriva deviazioni di percorso e sintesi inaudite. Diciamo che si tratta di una storia intellettualmente intrigante ma politicamente sterile, perché genera belle provocazioni, alimenta spumeggianti ribellioni, sconvolge gli schemi rigidi, ma non dà frutti e spesso genera velleitarie illusioni. Qualcuno nutriva la convinzione quasi matematica che sommando due etichette ritenute negative e sorpassate si potesse produrre un esito positivo e innovativo.

Il caso Mellone-Emiliano non è inscrivibile nel fasciocomunismo, semmai in quelle corrispondenze d’amorosi sensi che ogni tanto prendono politici di versanti opposti, al di là delle loro convinzioni; ricorda al più il milazzismo, benedetto da Palmiro Togliatti, ovvero l’esperimento siciliano in cui comunisti e missini collaborarono insieme ma non per molto. D’altra parte, se un abitante dei decenni scorsi si affacciasse nel presente, non resterebbe sconvolto a vedere Pd e Berlusconi, Sinistra e Lega insieme al governo guidato da un tecnico e farcito pure di grillini? Quella di Emiliano verso Mellone è una forma di amicizia e adozione a distanza, non è un governo fatto insieme. Insomma nell’ordine degli scandali il fasciocomunismo vero o presunto rappresentato dalla coppia Mellone-Emiliano, non è dei più sconvolgenti, anzi è qualcosa di casereccio, di pugliese, come mettere insieme riso, patate e cozze, ovvero mare e terra, per restare in una metafora golosa che a Emiliano il canaruto non dispiace. O se preferite una versione più nazionale, il loro amplesso è un po’ come Prosciutto e Mellone, dove Emiliano fa la parte del Prosciutto. Non fasciocomunismo dunque, ma prosciuttomellonismo.