(Tommaso Merlo) – A tenere unito il Movimento era il nemico comune e cioè la vecchia partitocrazia. E un conto è la “collaborazione forzata” per realizzare le promesse elettorali, un conto è diventare pappa e ciccia con la vecchia partitocrazia. Oggi quelli del Movimento parlano più in politichese che certi matusalemmi che sguazzano nei palazzi da decenni. Anche le giacche e le cravatte sono uguali oltre che i provvedimenti che votano. È come se fossero stati riassorbiti e normalizzati ed è quindi venuto meno quel nemico comune che era uno dei collanti più potenti di una compagine così variegata. La “collaborazione forzata” mentre fai ha un senso, ma collaborare tanto “per esserci” e galleggiare è letale per una forza come il Movimento. Se nasci antisistema e poi inciuci col sistema, ti sgretoli. Se nasci per fare politica diversamente e poi la fai come gli altri, ti sgretoli. A tenere unito il Movimento era la voglia di cambiamento ma quello radicale. Quello vero, non quello a chiacchiere e dettagli superflui. Una sana tensione per costruire un paese diverso dopo decenni di marciume e di tempo perso. Son passati solo tre anni e quelli del Movimento sono più accomodanti di certi matusalemmi che sguazzano nei palazzi da decenni. Come se non ci credessero più nemmeno loro al cambiamento radicale, come se si fossero arresi o scoraggiati. Se nasci per cambiare il paese e poi rinunci e ti adegui al pensiero unico, ti sgretoli. Se nasci come forza nuova e poi assomigli a tutti gli altri partiti, ti sgretoli. A tenere unito il Movimento erano le cose da fare, il programma, le stelle. Qualcosa è stato fatto i primi tempi nei palazzi. Quando sullo slancio della vittoria elettorale il Movimento era ancora sano ed autentico. Poi un progressivo spegnimento. Un crollo verticale come la sua ascesa. Son passati solo tre anni e oggi il Movimento parla solo di organigrammi e di assetti e di leadership. È come se le stelle si fossero spente, annegate nel sempiterno compromesso al ribasso della politica nostrana, in un mare di chiacchiere vuote. La forza del Movimento era la sua carica innovativa. Un modello nuovo, persone nuove per fare cose nuove in un modo nuovo. Con una grinta e parole d’ordine che si sposavano perfettamente con la frustrazione popolare e la voglia di reagire dopo anni di malapolitica. Non più partiti tradizionali e politicanti di professione, ma cittadini al servizio di altri cittadini. Disinteressati alle poltrone e alle carriere, allergici a protocolli e conformismi. Cittadini all’esclusivo servizio delle cose da fare. Senza politicismi, senza correntismi, senza chiacchiere vuote. I primi mesi di palazzo quei cittadini hanno dimostrato di valere il triplo dei politicanti di professione, han concluso più loro in qualche mese che i matusalemmi in qualche decennio. Poi il buio. Son passati solo tre anni e sembrano trenta, coi vecchi politicanti e le loro caste d’intoccabili che si sono ripresi l’Italia. Gli stessi partiti, gli stessi capibastone, le stesse logiche di sempre. Hanno vinto loro. Sono riusciti a restaurare il sistema precedente con anche la ciliegina del mega inciucio. Un sistema in cui incredibilmente dopo soli tre anni il Movimento fa parte. E per questo si è sgretolato. Ma le responsabilità non vanno cercate chissà dove. Tutti i protagonisti dovrebbero piuttosto guardarsi dentro. Tra le altre cose scoprirebbero che le sacrosante ragioni politiche che hanno determinato il clamoroso successo del Movimento non si sono affatto sgretolate. E prima o poi risorgeranno.