(Giuseppe Di Maio) – Forse crede di essere il solo ad avere certe idee, e quando trova qualcuno che ha detto o ha fatto qualcosa di condivisibile, istantaneamente se ne innamora. S’è innamorato di Casaleggio, quando gli ha illustrato le meraviglie della democrazia digitale e, ammaliato dallo strumento che superava d’un sol balzo il sistema dei partiti e la faticosa strada della composizione delle leggi, non si è nemmeno preoccupato di verificare quale fosse l’obiettivo sociale della rivoluzione del suo Gianroberto. Quell’innamoramento è stato solo il primo. Ma le rapide scuffie e gli amori non corrisposti sono stati numerosi.

Con tutti gli appellativi che avrebbe meritato Giorgio Napolitano, Beppe da Genova si limitava a chiamarlo solo “Morfeo”, per il suo eloquio soporifero. Non appena il Presidente annullò l’incontro col candidato della Spd alla Cancelleria, Peer Steinbrueck, che nel 2013 si disse “inorridito dalla vittoria di due clown” al parlamento italiano, scoccò la scintilla. Per Grillo Napolitano era diventato il suo presidente, uno con la schiena dritta. Poi fu la volta di Giachetti che, quando il M5S tuonava contro il Porcellum, era l’unico piddino a combattere con i suoi scioperi della fame “la vergognosa legge elettorale”. Allora partirono le afflizioni per il “povero” scioperante, per l’interlocutore privilegiato di Di Maio alla presidenza della Camera, l’animo nobile… Giachetti? Mah! Quando fu poi il tempo di trovare alleati europei, persino Farage, cioè il capo di un partito xenofobo, fu incensato da Grillo come il più grillino dei politici europei. Ma è stata poi la vittoria elettorale del 2018 a sfornare il maggior numero di cotte.

Alla richiesta di impeachment per un Mattarella che usava la funzione di capo dello stato per fare politica, seguì un periodo di straordinari elogi per il suo equilibrio istituzionale, molto al di là della politesse per i meri atti dovuti.

Quando venne l’ora di cambiare i vertici RAI, in mancanza di grillini convinti, si accontentò di grillizzare quelli proposti dalla Lega. Foa fu il risultato di questa operazione. Finanche Zingaretti, persecutore romano della Raggi, fu tra quelli che si attirarono le sue simpatie per necessità di copione. Gli ultimi li ricordate: Draghi era un grillino in pectore, e Cingolani avrebbe fatto la sua transizione ecologica.

Ma l’innamoramento per Conte è stato superlativo. Dopo il sonoro rimbrotto contro Salvini alla Camera, Giuseppi divenne al pari suo un “Elevato”; e dopo il risultato dei fondi europei, un inevitabile punto di riferimento per tutto il Movimento. La caduta del Conte II non poteva essere la fine dell’avvocato come risorsa grillina, perciò gli affidò anche il compito di risolvere tutte le contraddizioni che pendevano sui 5 stelle. Ma non s’è accorto che da parecchio tempo gli italiani non lo considerano più il vertice politico. E’ da parecchio che l’hanno relegato a presidente onorario, a leader della storia passata del Movimento. Un cittadino che è stato certamente meritevole, ma che si è appoggiato all’inquietudine civile degli italiani in un momento di decadenza dell’offerta politica. Uno che ha creato un guazzabuglio contraddittorio e che ora affida ad altri il compito di risolverlo. Se però c’è una lezione che abbiamo capito delle sue tante, è che non è certo lui il capo del Movimento. Dei 5 stelle e di ogni aspetto che riguarda la democrazia il capo è solo il popolo che, se lasciato libero di esprimersi con quesiti semplici e onesti, te lo dice chiaro che cosa pensa di te.