È spuntato anche un agghiacciante video indiziario sul (probabile) omicidio della ragazza pachistana da parte della famiglia. Eppure i professionisti dell’indignazione di genere, soprattutto le donne, ancora tacciono. Perché un conto è il catcalling, un conto è sfidare il patriarcato islamico. Meglio fischiettare come Michela Murgia (detta per sineddoche)

(MAURIZIO CRIPPA – ilfoglio.it) – Chissà se ora che è spuntato quel video grigio, tre uomini camminano a testa bassa e uno ha la pala, e forse è lo zio che l’ha strangolata, e forse vanno a scavare la fossa. Chissà se adesso i giornali scriveranno con meno inusuale circospezione del “presunto omicidio di Saman Abbas”. Che sarebbe bello sperare “presunto”, ma nel frattempo andrebbe denunciato per quello che è: femminicidio compiuto nel chiuso di una famiglia islamica. Invece ciurlano nel manico da giorni, soprattutto le donne, o parlano di casi  più comodi per inzupparci la retorica, come ieri Michela Murgia. E diciamo Murgia per sineddoche: la parte per il tutto dei professionisti dell’indignazione di genere, soprattutto ahinoi donne. Quelle che la feroce battaglia contro il catcalling sì, che la parità nei panel hai voglia. Ma quando c’è una ragazza che non si voleva maritare, e loro sono pachistani, e la loro versione dell’islam non è esattamente quella di Battiato e del multikulti, allora spariscono anche le femministe. C’è solo l’ottima Karima Moual, costretta a far la spola tra la Stampa e Repubblica perché di altre sentinelle dei diritti delle donne non se ne trovano. Forse stanno tutte con Murgia a dire “non sopporto di sentire che non tutti gli uomini sono maschilisti”. Però invece gli zii pachistani li sopporta. Zitta.