(Alessandro Di Battista) – Nell’Italia di oggi, ovvero la Repubblica fondata sulla restaurazione, capita di leggere la Presidente del Senato, la “Contessa” Maria Elisabetta Alberti Casellati Vien dal Mare scagliarsi contro la “barbarie giustizialista”. D’altronde, ahimè, questo è il clima e l’establishment gongola. Il mantra di oggi è questo: “aspettiamo tutti i gradi di giudizio”. Come se nei partiti politici si debba fare pulizia solo dopo aver letto le sentenze. Questo sì che è “giustizialismo”, questa è la morte della politica. Ad ogni modo se proprio vogliamo parlare di sentenze facciamolo pure.
La Casellati fa parte di un partito fondato da un amico della mafia. Ha mai detto qualcosa al riguardo la seconda carica dello Stato? Marcello Dell’Utri, fondatore Forza Italia, braccio destro di B., l’uomo del quale l’ex-cavaliere si fidava di più avendogli affidato ogni compito (dalla supervisione dei lavori di ristrutturazione della villa di Arcore, all’organizzazione del partito, passando la presidenza di Publitalia) operò per il rafforzamento di Cosa nostra, ovvero l’organizzazione criminale che fece saltare in aria Falcone e Borsellino, giudici che la Casellati ricorda con i consueti ipocriti comunicati istituzionali. Dell’Utri fece da tramite tra illustri mafiosi e Berlusconi e fece da tramite per anni. Anche quando al potere arrivarono i corleonesi (Riina, Bagarella, Provenzano e Brusca). E tutto questo c’è scritto in una sentenza definitiva ma non mi pare che la politica ne abbia preso atto.
Sapete chi erano i mafiosi che si riunirono con Berlusconi per stringere un patto realizzato grazie all’intermediazione di Dell’Urti?

  1. Gaetano Cinà, grande amico di Dell’Utri, era legato alla famiglia mafiosa di Malaspina. Cinà fu sempre interessato a coltivare buone relazioni con Berlusconi. Nel 1986 gli fece arrivare una cassata da dieci chilogrammi. Fu proprio Cinà a introdurre Dell’Utri negli ambienti mafiosi.
  2. Francesco Di Carlo, uomo d’onore dedito al traffico di droga, è stato uno dei testimoni chiave al processo Dell’Utri. Prima di pentirsi aveva guidato la famiglia di Altofonte, una cosca che faceva parte del mandamento di San Giuseppe Jato, quello guidato da Brusca. De Carlo venne anche accusato da un altro pentito di essere stato il killer di Roberto Calvi, il numero uno del Banco Ambrosiano trovato morto nel 1982 sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra. De Carlo ha sempre negato, pur ammettendo di essere stato contattato da Pippo Calò, il cassiere di Cosa nostra, proprio per compiere l’omicidio. Calvi, secondo altri collaboratori di giustizia, fu ucciso da Vincenzo Casillo, un criminale affiliato alla Nuova Camorra Organizzata, l’organizzazione criminale fondata da Raffaele Cutolo. A proposito di Cutolo, Luigi Cesaro, detto Giggin’ ’a Purpetta, uno degli autisti del boss di Ottaviano, è tuttora senatore della Repubblica eletto con Forza Italia e, dal giugno 2020, indagato dalla Direzione Distrettuale Antimafia nell’ambito di un’inchiesta che riguarda gli intrecci tra politica e camorra. Cesaro è collega di partito della Casellati. Tornando a Calvi, la fidanzata di Vincenzo Casillo, la ballerina Giovanna Matarazzo venne ritrovata in un blocco di cemento dopo aver confidato alla magistratura che la morte di Casillo, saltato in aria dopo essere entrato in un’auto imbottita di tritolo, era collegata proprio all’omicidio del banchiere. Per il crac del Banco Ambrosiano, per il quale, presumibilmente, venne assassinato Calvi, fu condannato Flavio Carboni, faccendiere, amico di Licio Gelli, nonché, secondo il pentito Antonio Mancini, «anello di raccordo tra la Banda della Magliana, la mafia di Pippo Calò e gli esponenti della P2», la stessa loggia massonica di cui faceva parte Berlusconi. Carboni tornò alla ribalta della cronaca giornalistica nel 2016, quando si venne a sapere di alcuni incontri che aveva avuto a Roma con Pier Luigi Boschi, il padre di Maria Elena. Argomento degli incontri? Banca Etruria. Carboni, tra le altre cose, fu, per un periodo della sua vita, in affari proprio con Berlusconi.
  3. Girolamo Teresi, sottocapo della famiglia mafiosa di Santa Maria del Gesù, era il braccio destro di Bontate. Secondo diversi pentiti di mafia, tra i quali Tommaso Buscetta, fu proprio Teresi, su ordine di Bontate, a sequestrare e assassinare Mauro De Mauro, il giornalista scomparso nel 1970 e che stava indagando sull’incidente aereo di Bascapè che costò la vita ad Enrico Mattei.
  4. Stefano Bontate fu l’ideatore della strage di viale Lazio a Palermo. Una strage della quale, allora, non se ne parlò molto in quanto, appena due giorni dopo, vi fu l’attentato di Piazza Fontana. La strage di viale Lazio venne organizzata per far fuori il boss Michele Cavataio e a realizzarla furono i corleonesi Riina, Provenzano e Calogero Bagarella, fratello di Leoluca, il quale trovò la morte durante il blitz. Pare che a finire Cavataio sia stato Bernardo Provenzano che, avendo finito i proiettili, gli ruppe il cranio con il calcio del fucile. Quel giorno Provenzano si guadagnò il soprannome di Binnu ’u tratturi. La strage di viale Lazio, ripeto, venne ideata da Bontate e ordinata dalla Commissione del tempo, ovvero la cupola di Cosa nostra, un triumvirato composto da Liggio, Bontate e Tano Badalamenti, il boss che ordinò l’assassinio di Peppino Impastato. Quando scese a patti con Berlusconi, dunque, Bontate era Cosa nostra in persona. Non un mafioso qualunque. Bontate venne poi assassinato su ordine di Riina nel 1981 ma, come hanno scritto i giudici della Corte d’Appello che ha condannato Dell’Utri «la morte di Stefano Bontate e di Girolamo Teresi e il sopravvento di Toto Riina e dei “corleonesi” non aveva mutato gli equilibri che avevano garantito l’accordo del 1974». Cosa significa? Che il patto B. non l’aveva semplicemente sottoscritto con alcuni mafiosi, no, l’aveva siglato con Cosa nostra intera. Il patto prevedeva la protezione di B., della sua famiglia e dei suoi interessi economici in cambio di ingenti somme di denaro destinate alle cosche palermitane.
    Lo sa tutto questo la seconda carica dello Stato che parla di “barbarie giustizialista” nel nostro Paese? Lo sa la seconda carica dello Stato che in un Paese normale un “frodatore del fisco” condannato in via definitiva come B. sarebbe sparito dalle scene mentre da noi viene ricevuto con tutti gli onori dal Presidente del Consiglio? Vi sembra un barbaro paese giustizialista il nostro?
    Lo sa la seconda carica dello Stato che un altro fondatore del suo partito un tal Cesare Previti, avvocato di B. ed ex-ministro della Difesa è stato radiato dall’ordine degli avvocati dopo essere stato condannato in via definitiva per corruzione in atti giudiziari? Previti, utilizzando denari provenienti da un conto della Fininvest, ha corrotto un giudice per far sì che Mondadori finisse nelle mani di Berlusconi.
    La Casellati si lamenta delle minacce dal web. Le esprimo solidarietà. Le rammento tuttavia (perché non sono ipocrita) che le minacce ricevute dalla rete sono nulla rispetto alla minacce che Cosa nostra – diventata più forte anche grazie ai denari “generosamente” ricevuti da Berlusconi – ha fatto (e continua fare) a cittadini per bene, imprenditori, uomini e donne dello Stato!
    La gogna, quella vera, non la vivono i politici che hanno potere, contatti e denari per difendersi. No, la vivono gli italiani per bene, soprattutto quelli che oggi assistono alla “restaurazione”, al ritorno di quelli che avevano cacciato, al ritorno della partitocrazia con tutte le sue storture. P.S. Ho scritto di tutto questo nel mio libro “Contro” che potete acquistare qui https://www.paperfirst.it/libri/contro/