(di Luca De Carolis e Wanda Marra – Il Fatto Quotidiano) – Lo schema è saltato. E cosa ne sarà dell’alleanza tra Pd e M5S a questo punto nessuno può dirlo. Al Nazareno gli umori sono tetri dopo il tramonto della candidatura di Nicola Zingaretti a Roma. In casa dem attribuiscono la responsabilità di aver fatto saltare un candidato considerato vincente a tutto il gruppo dirigente dei Cinque Stelle (Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Vito Crimi, ma anche Roberta Lombardi e Roberto Fico, in quest’ordine). Anche se sanno e ammettono che il “nuovo” Pd di Enrico Letta ne esce indebolito. La prima operazione politica del segretario è di fatto fallita. Nonostante le rassicurazioni sul fatto che Roberto Gualtieri sia un buon candidato, la speranza di una campagna elettorale civile per la Capitale e un accordo per il secondo turno a votare chi passerà tra il candidato Pd e Virginia Raggi. Lo “schema” prevedeva la garanzia che i grillini non uscissero dalla giunta con Zingarettti in campo, ma l’accordo non ha tenuto. E ora, a seguire, in tutte le altre città il gioco si complica.

A Napoli, per esempio, la candidatura di Roberto Fico è fortemente in bilico. Pesano le titubanze dello stesso presidente della Camera, ma conta anche la minor determinazione dei dem a convincere Vincenzo De Luca ad accettarlo. Dovrebbe toccare a Gaetano Manfredi, che dirà sì solo dopo aver parlato con Conte, come il Pd tiene a chiarire. Perché comunque il messaggio che vogliono far passare è che il progetto politico di alleanza è ancora in piedi, ancora prioritario. Anche se il modo in cui ne parlano è indicativo: “Vogliamo vincere con la coalizione di centrosinistra, ove possibile con M5S”.A Torino invece sta saltando l’accordo. Il Pd farà le primarie, sperando che il M5S partecipi. Ma nel Movimento a questo punto si medita di far ricandidare Chiara Appendino. Una carta che per ora sembra molto tattica, visto che la sindaca uscente non sembra davvero averne voglia. Ma il tentativo potrebbe essere fatto. Diceva Letta ieri pomeriggio a Radio Immagina: “Noi lavoriamo con il M5S ma è evidente che a Torino e Roma, con Appendino e Raggi in campo, il lavoro è complesso, il Pd era all’opposizione. È naturale che ci siano difficoltà in questo momento”. E anche a Bologna il quadro si sta complicando. In campo per la coalizione c’è Matteo Lepore, appoggiato sia dal gruppo dirigente del Pd, che dai 5Stelle, Max Bugani in testa. Alle primarie, però, sfida Isabella Conti. La sindaca di San Lazzaro è stata lanciata da Matteo Renzi, ma partecipa nascondendo il simbolo di Iv e punta su un certo gradimento trasversale. Mentre una parte di Base Riformista la appoggia, anche per mettere in difficoltà il segretario.

Ieri Andrea Marcucci era sulfureo: “Osservo che purtroppo non sta uscendo il nome di una candidata da nessuna parte, esclusa Conti a Bologna, che però non è la preferita dai vertici. Questo Pd tutto al maschile un po’ mi preoccupa”. E ne ha approfittava anche per parlare di una “sopravvalutazione di Conte”. E anche Elisabetta Gualmini ha annunciato il suo sostegno alla Conti. Non dovrebbe bastare per far perdere Lepore, ma di certo non aiuta. A cercare di tenere in piedi il progetto è Francesco Boccia, responsabile Enti locali, che non a caso ieri la metteva così: “Noi non dobbiamo dimostrare niente a nessuno: quanto abbiamo vinto, in Puglia e nel Lazio, abbiamo aperto ai Cinque Stelle”.

Ma dall’altra parte c’è Conte, che ieri lo ha sostenuto in vari colloqui: “Io non ho certo lavorato per il Pd, sono il leader del Movimento”. Non ci sta, l’avvocato, a essere dipinto come eccessivamente schiacciato sui dem. E in serata proprio fonti vicine all’ex premier diffondono la sua verità: “Sostenere che Conte non abbia governato il caos del Movimento e abbia subìto la linea della Raggi, della Lombardi o di altri trascura il fatto che Conte ha accettato di essere il leader del M5S e per questo ha adottato in tutta coerenza la soluzione migliore per il Movimento”. E parla innanzitutto al Pd: inquieto, come non succedeva da mesi.