(Giuseppe Di Maio) – Nel paese di Greci (centro irpino ai confini con la Puglia) un vecchio di stirpe arbëreshë mi raccontava che quando la gente del contado cattolico arrivava in paese dalla campagna per vendere i suoi prodotti, non potendo opporsi altrimenti alla supremazia degli Albanesi beneficiati con quelle terre da Alfonso d’Aragona, lanciava sassi contro la chiesa madre di rito ortodosso, che ancor oggi porta il segno di quelle offese.

Il razzismo è il tentativo di evitare le dure leggi della concorrenza con determinati soggetti sociali, bocciando o affievolendo i diritti del proprio competitor, e attribuendo loro disvalori con cui le maggioranze denigrano le minoranze. Autoctoni, bianchi, settentrionali, eterosessuali, cattolici, normoabili e normopeso etc. sono razzisti nei confronti di stranieri, colorati, meridionali, omosessuali, miscredenti, disabili e obesi etc. Le identità “de noialtri” diventano discriminatorie verso coloro che non possono vantare gli stessi segni distintivi. E allora l’ordine sociale, fantasiosamente attribuito al lavorio di sudati meriti personali, sarà invece il risultato di una precisa volontà politica che, prima di essere legge che divide e impera, è un’istintiva tutela dei più contro alcune minoranze pericolosamente attive.

Se la preferenza identitaria è l’ideologia dei reazionari, il politicamente corretto è quella dei conservatori. Chi ha già raggiunto una condizione di relativo benessere non teme l’arrembaggio dei “diversi”, il cui percorso sociale è ancora lontano per poter impensierire, ma teme l’aggressione di coloro che per avvantaggiarsi si giovano delle cosiddette identità. Il politically correct, sistema di disapprovazioni formali, si erge allora a protezione dei diritti e della ricchezza dei proprietari, che temono di dover rimettere in gioco il loro conquistato benessere. E’ così che i conservatori squalificano ed escludono razzisti, maschilisti, omofobi e integralisti… Insomma, non c’è che dire: sia i reazionari che i conservatori usano trucchi per escludere chi attenta ai loro interessi, pur millantando entrambi che il motore della disuguaglianza sia un’inverosimile meritocrazia.

Il sistema delle mistificazioni ha nascosto le convenienze dei moderati in un’area tradizionalmente appartenuta alla rivoluzione e al progresso, giovandosi dell’equivoco che quest’occupazione abusiva comporta. Questa è l’area buonista che aborrisce le parole di negro, terrone, puttana, frocio, beduino, storpio e ciccione, ma non metterebbe a repentaglio un acca dei propri privilegi per favorire i diritti di coloro a cui tali parole sono destinate. Ed è in quest’area perciò che fioriscono le leggi a difesa degli interessi di classe. Il ddl Zan, ad esempio, è il manifesto dei conservatori che sottrae alla destra i suoi tradizionali cavalli di battaglia: la possibilità cioè di sobillare l’animo reazionario attraverso il discredito di categorie nemiche. Da qui nasce l’avversione di Salvini e gli altri alla legge contro l’omotransfobia. E la cosa potrebbe anche farci piacere, se non fosse che il disegno di legge striscia per tutta la sua relazione lungo il confine della libertà di pensiero. Tant’è vero che lo stesso legislatore ha ritenuto opportuno all’art. 4 fare salvi il “pluralismo delle idee e libertà delle scelte”; insomma ha evitato di trasformare la tutela di una minoranza in reato di opinione.

Ma il dubbio resta. Che cosa faranno i giudici con una legge del genere? Giacché, pur con l’intento di condannare la violenza discriminatrice, la nuova legge intimorisce le reazioni veraci e spontanee. E una zoccola, maschio o femmina che sia, può sempre minacciare di adire le vie legali a seconda della soggettiva percezione. Purtroppo la tolleranza è la conquista di una civiltà superiore, che ama concentrarsi nella lotta contro la natura, e non nello scontro tra uomini.