(Francesco Erspamer) – L’editoriale di Travaglio di oggi (assurdo che sia accessibile solo ai pochi che comprano una copia cartacea o agli abbonati, ancor meno numerosi; mentre gli articoli scelti dal liberista Gomez, padrone del “Fatto” online, li leggono in decine di migliaia) è una pungente rassegna delle più recenti menzogne propinate dalla stampa italiana; roba da prendere il forcone o buttarsi dalla finestra, e la prima soluzione è velleitaria (gli italiani sono troppo occupati a festeggiare la vittoria dell’Inter o a trasformare Fedez in un eroe della resistenza), la seconda è una resa incondizionata gradita alla casta quanto l’astensionismo e l’antipolitica. E allora? Credo che il problema non consista soltanto nella sistematica disinformazione praticata dai monopoli mediatici delle multinazionali ma ancor di più dal modo sbagliato in cui li si combatte.

Travaglio è il miglior giornalista italiano. È anche un intellettuale preparato e una persona per bene, che dovrebbe essere la norma e invece fra i giornalisti nostrani costituisce un’assoluta eccezione. Però è anche lui succube della cultura liberista. Sostanzialmente, infatti, non produce che gossip, un gossip informato e non degenerato nella cazzata ma pur sempre gossip. Ossia parla esclusivamente dei potenti: per criticarli, che è meglio dell’adulazione e del servilismo che in Italia caratterizzano la sua professione, però contribuisce anche lui alla loro legittimazione. Lo sapeva già Oscar Wilde a fine ottocento, all’alba dell’età dei media: chi non fa parlare di sé è come se non esistesse. E in effetti lo sapevano già i Greci e i Romani duemila anni prima: che i traditori e i più pericolosi nemici della civiltà li condannavano alla damnatio memoriae, cioè a essere dimenticati. Invece Travaglio, come buona parte dei frequentatori dei social, non fa che ingigantire la visibilità degli stronzi e famosi. Quale è l’alternativa? Fare proposte e avanzare teorie e interpretazioni in positivo, invece che in reazione alle proposte e interpretazioni del nemico, in modo da fargli saltare i nervi e metterlo sulla difensiva. Sono i giornali liberisti che dovrebbero sparlare di Travaglio, non lui di loro. Ricordate l’inizio del “Manifesto” di Marx e Engels?: “Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono coalizzate in una santa caccia spietata contro questo spettro”. Il germe della Rivoluzione russa ma anche delle straordinarie conquiste civili e sociali di un secolo abbondante di lotte, è in questa attenzione per il comunismo da parte dei potenti e dei loro cani da guardia. Odio ma anche paura. Oggi quello spettro non spaventa nessuno e neppure si aggira; né si aggirano nuovi spettri. Si aggirano soltanto le celebrity e non si parla e sparla che di loro. Si esaltano o magari denigrano soltanto gli effetti del liberismo: ovvio che appaia un destino ineluttabile, anzi, la realtà. È stato il limite del M5S, ancor prima della sua deriva draghista: non aver capito che proprio non basta denunciare i mali del mondo, nella fattispecie la corruzione, se non si riesce ad apparire una minaccia complessiva, di sistema, espressa da un’ideologia. Così le continue campagne diffamatorie non lo hanno trasformato in uno spettro ma solo in un momentaneo inconveniente. Per sconfiggerlo non hanno dovuto scatenare una santa caccia spietata e neppure coalizzarsi; è bastato coalizzare anche lui.

È necessario un cambiamento profondo, mentale, intellettuale, culturale; che non richiede grandi risorse (tanto non ne abbiamo e in questa fase di riorganizzazione non ne avremo) ed è dunque alla mostra portata: basta volerlo. Si tratta di smettere di farsi incantare da chi sta distruggendo l’Italia, la civiltà e il pianeta e di costringerlo a notare la nostra esistenza. Gradualmente. Finché non lo si possa costringere a preoccuparsi per davvero.