Ieri sera, su La7, abbiamo assistito alla promozione dell’ultima fatica letteraria di Michele Santoro, disponibile da oggi. Nelle ore successive la Procura di Caltanissetta ha dichiarato l’inattendibilità di Avola
(ROBERTO GRECO – glistatigenerali.com) – Se da un lato Santoro ha ribadito che oramai, visto la sua vicinanza ai settant’anni, è poco interessato a occupare il centro del palcoscenico, il direttore Mentana, probabilmente parlando anche a nome del suo editore, glielo ha offerto chiaramente. In fondo, cosa non si va per vendere un libro? Lo sanno gli autori, soprattutto quelli minori che farebbero carte false per una presentazione in più anche solo per vendere una copia del loro prezioso volume. È lecito che ogni autore consideri il proprio lavoro una gemma unica ma, questa volta, l’egocentrismo ha giocato brutti scherzi.
“Nient’altro che la verità”, questo è il titolo del libro di Michele Santoro edito da Marsilio che, come previsto e annunciato, da stamattina è disponibile su tutti gli stores digitali. Perché, se ti tolgono il microfono, che fai? Scrivi un libro, perché così poi vai in televisione a presentarlo, visto il tuo curriculum di tutto rispetto. Una scena ben preparata condotta dal padrone di casa, il dottor Mentana e con ospiti eccellenti: la “punta di diamante” del giornalismo d’inchiesta di La7 Andrea Purgatori, il dottor Antonio Di Pietro e la dottoressa Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo oltre, ovviamente, all’autore del libro del quale, per pura modestia dell’autore, non è stata fatta vedere la copertina.
Cardine del nuovo libro e sulle sue “scottanti” rivelazioni, tanto “scottanti” da coniare il titolo del libro stesso è Maurizio Avola. Nome nuovo sul panorama del pentitismo? Nient’affatto. Maurizio Avola, autore di un’ottantina di omicidi, è diventato collaboratore di Giustizia dopo essere stato per anni uno dei killer più spietati della Mafia. “Sono l’ultima persona che ha visto lo sguardo di Paolo Borsellino, prima di dare il segnale per fare quella maledetta esplosione”, ha raccontato a Michele Santoro. Non solo, ha raccontato il primo omicidio, quello di Andrea Finocchiaro, avvocato, per le sue dichiarazioni sul boss Benedetto Santapaola, un delitto consumato nel centro di Catania. Avola si è anche autoaccusato di aver avuto un ruolo operativo nell’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, assassinato il 5 gennaio 1984 a Catania, e ha indicato i nomi di altri assassini e dei mandanti. Già nel 2019, indicò che i mandanti e gli esecutori delle stragi del 1992 erano stranieri e che facessero riferimento alla famiglia Gambino di “cosa nostra” americana. Fu quella famiglia che mandò a Palermo un suo uomo d’onore esperto in esplosivi e telecomandi, per insegnare a lui e a Giovanni Brusca come maneggiare i congegni nuovi, l’esplosivo e i telecomandi che dovevano coprire una distanza di sei, settecento metri dal detonatore.
Maurizio Avola ne ha raccontate tante, nell’aula bunker di Firenze dove si celebrava davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta, il processo contro il boss trapanese Matteo Messina Denaro per la strage di via D’Amelio.
In tutti i processi che l’hanno visto imputato, Avola ha avuto riconosciuti i benefici premiali per la collaborazione. Trent’anni da scontare in carcere. È lui li ha vissuti senza protestare. Ha avuto uno sconto di cinque anni di pena per la buona condotta in carcere e ha scontato le ultime briciole di detenzione carceraria. Proprio a cavallo di quel periodo, Michele Santoro incontra Avola. Dalle stesse parole di Santoro emerge che, una volta in libertà, proprio davanti a lui ha deciso di raccontare le sue nuove verità, ovviamente non riscontrate e, probabilmente, non riscontrabili. Di fatto, dal suo racconto sulla strage di via d’Amelio spariscono entità esterne, agenti dei servizi deviati e il teorema della “presunta trattativa” come motivazione cardine della scelta di uccidere Paolo Borsellino. Non solo. La Procura di Caltanissetta, nelle ore successive alla trasmissione ha emesso un comunicato stampa in cui, relativamente alla presenza di Avola nelle fasi di preparazione e esecuzione della strage di via d’Amelio afferma:
“Tale circostanza risulta in effetti essere stata riferita per la prima volta dall’Avola nel corso di un interrogatorio svoltosi lo scorso anno dinanzi ai magistrati di questa D.D.A., a distanza di oltre venticinque anni dall’inizio della sua collaborazione con l’autorità giudiziaria. I conseguenti accertamenti disposti da questa D.D.A:, finalizzati a vagliare l’attendibilità di dichiarazioni riguardanti una vicenda ancora oggi contrassegnata da misteri e zone grigie, non hanno allo stato trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità. Dalle indagini demandate alla DIA sono per contro emersi rilevanti elementi di segno contrario che inducono a dubitare tanto della spontaneità quanto della veridicità del suo racconto. Per citarne uno, tra i tanti, l’accertata presenza dello stesso Avola in Catania, addirittura con un braccio ingessato, nella mattinata precedente il giorno della strage, la dove, secondo il racconto dell’ex collaboratore, egli, giunto a Palermo nel pomeriggio di venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all’interno di un’abitazione sita nei pressi di via Villasevaglios, pronto, su ordine di Giuseppe Graviano, a imbottire di esplosivo la fiat 126 poi utilizzata come autobomba”.
In mezzo al fumo denso, però, lo stesso Santoro si attacca a verità giudizialmente certe, come quella relativa alla datazione della decisione di uccidere sia Falcone sia Borsellino che inizialmente si riteneva fosse stata presa nel corso di una riunione successiva alla sentenza definitiva del maxi-processo, come reazione alle risultanze processuali. La magistratura ha però appurato che la data in cui Cosa Nostra ha preso la decisione, si deve anticipare di qualche mese. Nel dicembre del 1991 il Gotha di Cosa nostra si sarebbe riunito, a Pietraperzia in provincia di Enna, con tutti i capi mafiosi, per “escogitare un piano e tracciare le linee guida di un piano di destabilizzazione della vita del Paese per obiettivi eversivo-separatisti”. La riunione è però succedanea a una riunione, molto più significativa, tenutasi a Zagabria che avrebbe condizionato le decisioni del Gotha mafioso, non solo di Cosa Nostra, ma anche della Camorra e della ‘ndrangheta. Riunione cui parteciparono esponenti eversivi della destra europea, massoni e imprenditori mirata a fissare i binari dello sviluppo di un nuovo ordine politico, nel quale sarebbero dovuti confluire personaggi che all’epoca facevano affari d’oro col grande traffico degli stupefacenti.
Fumo denso nel quale poi Santoro si perde, poi, quando si tratta di capire non solo i “chi” ma il “perché” della strage di via d’Amelio, viste le dichiarazioni di Avola. Fumo denso in cui si perde Andrea Purgatori che vede svanire la sua pista preferita sul perché della strage di via d’Amelio, ossia quella della “presunta trattativa”, per la quale è in corso il processo di Appello e su cui lui ha puntato tutto in cambio di facile consenso televisivo.
Fumo denso in cui, però, non si perdono né Antonio Di Pietro tantomeno Fiammetta Borsellino che, Di Pietro per averla vissuta personalmente e Fiammetta Borsellino per aver letto con attenzione le carte, dicono la parola magica, ossia “dossier mafia-appalti”, quel fascicolo la cui archiviazione fu chiesta il 13 luglio 1992. Non solo, quando Fiammetta Borsellino indica il dottor Roberto Scarpinato e il dottor Guido Lo Forte, e ciò corrisponde al vero perché le loro firme sono in calce alla richiesta di archiviazione, la barba di Andrea Purgatori vibra, come se si fosse trovato di fronte ad un delitto di lesa maestà. E Fiammetta Borsellino ricorda che il 14 luglio 1992, suo padre fece una riunione con i suoi sostituti in cui chiese come mai l’indagine di sua competenza, l’inchiesta “Pantelleria”, da lui sviluppata a Trapani, non fosse confluita nel “dossier mafia-appalti”.
Lo stesso dottor Di Pietro ricorda i suoi incontri con Falcone prima e Borsellino poi il cui argomento era proprio la connivenza di aziende del nord con una rete stratificata d’interessi e società di comodo realizzate in Sicilia, storia sicuramente non nuovo in quanto già indicata e sviluppata da Mario Francese durante le sue inchieste sugli appalti per la costruzione della diga Garcia. Purgatori minimizza dichiarando che in quel dossier non comparivano nomi e che solo nel 1993 si sarebbero evidenziati ma, forse, l’informativa del ROS datata 16 febbraio 1991, lui non l’ha letta perché se lo avesse fatto si sarebbe risparmiata la sua infelice valutazione.
La puntata in onda su La7 avrebbe meritato una radio-cronaca, una di quelle che tipicamente si realizzano per gli incontri di calcio. Avrebbe descritto Purgatori in difesa, arroccato nel suo metro quadrato di campo e impossibilitato a muoversi, Di Pietro fantasista ragionato che ben sfrutta e centra le occasioni di goal, Santoro ai margini del campo affiancato dal padrone Mentana di casa che, probabilmente, pensava che ne sarebbe uscito altro, da quello speciale che l’ha fatto tornare in prima serata. Outsider, come sempre, Fiammetta Borsellino alla ricerca di una verità negata sempre più spesso, pare, per non voler ammettere le colpe e le mancanze riscontrate durante le indagini. Non è bastata la sentenza del “Borsellino quater” che ha indicato a chiare lettere che la “presunta trattativa” non è stato l’accelerante della morte del dottor Borsellino e nemmeno le evidenze, che si continuano a voler minimizzare, che emergono dall’importanza del “dossier mafia-appalti” perché come, la stessa Fiammetta Borsellino ha dichiarato durante la trasmissione: “Nella sentenza (di primo grado del procedimento sulla c.d., nda) trattativa si dice una menzogna, una bugia. Si dice che mio padre fosse addirittura disinteressato al dossier ‘Mafia e appalti’ o che non lo conoscesse ma non è vero, perché lo conosceva benissimo”.
fare una trasmissione di inchiesta su delle teorie proprie, non si invitano i veri protagonisti perchè fai la figura del peracottaro.
Meglio fare una trasmissione di fantasy, come piace a Mentana
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Trasmissione (non) preparata, e condotta in modo disastroso.
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Mentana, Santoro e Purgatori sembravano infastiditi da Fiammetta Borsellino, con solo Di Pietro a supportarla.
Fiammetta Borsellino sulle parole del mafioso Maurizio Avola: “Non parlo di lui, so che mio padre parlò della procura di Palermo come un covo di vipere”
“Claudio Fava, presidente della commissione regionale antimafia, durissimo con Santoro: “Avola mente, un rapido e onesto lavoro giornalistico avrebbe permesso di rendersene conto”. Dice: “Chi manda Avola ad avvelenare i pozzi? Chi si vuole servire della sua sgangherata ricostruzione per fabbricare un altro depistaggio su via D’Amelio? Chi continua ad avere paura, trent’anni dopo, di chiunque si avvicini alla verità su quegli anni e su quei fatti?”.
Salvatore Borsellino: “Avola è un inquinatore di pozzi e mi meraviglia che un giornalista come Santoro, con il suo libro, si sia prestato a dare fiato a un personaggio del genere. Già in passato, con le sue dichiarazioni, Avola ha delineato la strategia dei falsi pentiti di mafia: mischiare verità e bugie per minare la credibilità dei veri pentiti”.
Maria Falcone: “Alla luce delle precisazioni fatte dalla procura di Caltanissetta, fermo restando l’assoluto rispetto per il diritto di cronaca, sarebbe stato utile ascoltare i magistrati che per anni hanno indagato sulle stragi del ’92 consentendo di smascherare il clamoroso depistaggio delle indagini sull’attentato di via D’Amelio. “Rivedendo e rivivendo con dolore gli attacchi rivolti a mio fratello da Leoluca Orlando e Alfredo Alasso – aggiunge – voglio solo ricordare che la storia ha stabilito dove stava la ragione e dove il torto”
Depistaggio via D’Amelio, il gip: “Anomalie su Scarantino, ma gli ex pm non fecero reati”. 03 FEBBRAIO 2021
L’ira di Fiammetta Borsellino
“E’ tutto coerente – dice Fiammetta Borsellino – in linea col principio che ‘cane non mangia cane’.
“Faranno i conti con la propria coscienza”
“L’epilogo di questa putrida vicenda è la storia dell’Italia: lo stivale dei maiali che affonda sempre di più nel fango come dice Battiato in “Povera patria”, pensando a quei corpi a terra senza più calore”.
Ieri sera chiedendo un “attimo” “attimo” per la sua spiegazione su certi fatti , con prepotenza e arroganza e stata zittita da Mentana: ” un attimo lo dico io ” – pubblicità La ricerca della verità
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non ho visto la trasmissione, ma dopo che hanno detto che la curava Mentana e il Purgatorio con Santoro avevo già capito come sarebbe andata.
Tu me ne hai dato conferma, il primo pensiero d’istinto, si solito, è quello più giusto
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Non ho visto la trasmissione, ma
A) nonostante la mia passione per Santoro, non credo nei libri che vengono fatti coi protagonisti delle carte giudiziarie e non con le carte giudiziarie, alla Palamara Sallusti, per intenderci. L’analisi si fa con le carte che ci sono, non con i rigurgiti di coscienza, falsi, o minimo non provati nel caso di Santoro, strumentali nel caso di Sallusti.
B) Mentana non è un esperto di mafia, è un esperto compiaciuto di palazzi. O lui o Nicola Porro era la stessa cosa.
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SANTORO CHE MISERA FINE.Non solo non comprerò quel groviglio di fandonie ma non lo leggerò neanche se me lo regalassero e mi pagassero per farlo.Avviso tutti non desidero avere quel libro in regalo.Ma Santoro non aveva detto che se sarebbe andato in Africa?
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Gabalelli, Gruber, Santoro, Purgatori… tutti al soldo di Cairo, tutti in fila.
Ma non erano “di sinistra”?
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Ma c’è ancora gente che guarda il “mitraglietta”? tutto fumo e niente arrosto, l’informazione davanspettacolo di Mentana sono un offesa alle maratone, quelle VERE.
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