(Filippo Ceccarelli – il Venerdì – la Repubblica) – Diceva a suo tempo Leo Longanesi che in Italia le rivoluzioni iniziano in piazza e finiscono a tavola. Ma è ancora vero? O magari: non starà accadendo proprio il contrario?

Per la seconda volta in pochi giorni, esasperati dalle chiusure, osti e ristoratori hanno preso d’ assedio la città politica.

Arrivano da tutta Italia, uomini e donne, disperati, agguerriti, “allo stremo”; pochi indossano la tenuta da cuochi, qualcuno si traveste per attirare l’ attenzione, esibiscono simboliche manette, inalberano cartelli come quello nella foto di Angelo Carconi qui sotto: “In un mondo di Draghi i ristoranti bruciano”.

Di solito i rivoltosi puntano a Montecitorio, l’ altra settimana sono stati bloccati a cento metri, nel frattempo hanno spostato transenne, per forza di cose si sono mischiati con neofascisti e cospirazionisti no-mask, qualcuno ha acceso fumogeni e lanciato petardi, c’ è anche chi ha fatto a botte.

In pochi giorni si sta rovesciando di segno l’ immagine di una categoria per sua natura e funzione accogliente, amichevole, mansueta, da sempre indicata come metro di misura del benessere (“i ristoranti pieni” si diceva), al massimo sospettata di disinvoltura fiscale, di recente assurta a popolarità televisiva. Oggi è tra quelle che più sta pagando la pandemia.

Finora l’ assioma di Longanesi funzionava a puntino. Certa attitudine nazionale all’ accomodamento trovava sfogo e raffigurazione nei ristoranti. Personaggi e caporioni della destra più radicale (Giovanni Ventura ieri, Gianluca Jannone di Casapound oggi) avevano aperto locali anche di successo; un brigatista rosso di via Fani, Alessio Casimirri, gestisce un famoso ristorante di pesce a Managua e su TripAdvisor si è letto che nel menù compaiono degli spaghetti “alla Prospero Gallinari”.

L’ Italia è (anche) questa. Volendo, a tavola è finita anche la “rivoluzione liberale” di Berlusconi, essendosi convertiti in imprenditori della ristorazione il maggiordomo Alfredo, la nipotina Ruby, il faccendiere Lavitola e l’ ex badante Mariarosaria Rossi. In Sardegna il giudice Palamara aveva un chiosco in società, uno di sushi sognava di aprirne Casalino con il compagno.

In giro, la rivolta è adesso strisciante, però sostanziosa, “Io apro” è l’ hashtag. I più determinati sfidano le multe e tengono aperti i locali che a loro volta diventano centri di resistenza, così come il pasto si trasforma in azione solidale e di disobbedienza civile. Tra imitatori di sciamani e giovani chef che piangono sotto i fornelli, sui social gli osti di battaglia accompagnano proclami e ultimatum con le musiche bellicose dei Pirati dei Caraibi; e dalla tavola alla piazza, la pandemia insurrezionale ribalta scettiche, rassicuranti certezze in amari e imprevedibili avvertimenti.