(Anna Lombroso per il Simplicissimus) – Oggi voglio permettermi un po’ di retorica, delitto punibile con la gogna a meno che a cimentarsi in questo esercizio siano potenti che ritengono opportuno qualche cedimento a fini di consenso, e colpa appena un po’ meno deplorevole del richiamo a valori etici, catalogato come moralismo in cima a tutte le graduatorie del codice penale di Fb.  

È che guardandosi intorno sui social è tutto un prodigarsi in riconoscimenti per l’indiscussa n.1 degli influencer,  per le sue qualità manageriali, combinate coi buoni sentimenti di una mamma e sposa, con la variegata dedizione a tutte le cause pret à porter, con il senso degli affari spregiudicato quanto basta a confermare la speranza che le donne in carriera siano abbastanza stronze da competere con gli stronzi maschi.

Proprio come volevano il Cavaliere e le sue televisioni, diventano qualità speciali l’ambizione, il protagonismo narcisista, l’esibizionismo patologico e un talento particolare nel trasformare qualsiasi cosa si tocchi in merce come dei Re Mida che traggono profitto anche dalla prima carezza al pargolo, dalle ecografie,  dal vagito trasformato in suoneria, dalla linea premaman, dalla spallina o la sottana che si alza maliziosa, e che in altri casi sarebbe vituperata del poco che resta di senonoraquando, fino a Botticelli e Raffaello, altrimenti misconosciuti e negletti.

E guai se sollevi qualche obiezione sulla commercializzazione autoreferenziale di sè,  vieni subito arruolato nelle compagini dei frustrati, invidiosi,  degli inappagati   che si meritano il cono d’ombra del fallimento.  La giovane signora invece merita trionfi, consenso e quattrini ricavati dalla speculazione sui vizi consumistici e provinciali di chi spera, imitandola e comprando la paccottiglia che produce, firma o della quale è testimonial,  o semplicemente sognandola insieme a oggetti che non ha la possibilità di acquisire, di ottenere gli stessi successi, la stessa “biondità”, la stessa sicurezza assertiva del proprio ego, perché, viene continuamente ricordato, quei benefici se li conquista onestamente.

Il discorso sarebbe lungo, esplorare il concetto di onestà applicato al profitto di chi accumula avidamente, dei ricchi (qualche giorno fa ci è stata esibita la lista dei 10 paperoni italiani) redenti dal panettone a Natale per i dipendenti, dalle sponsorizzazioni dei restauri scaricabili dalle tasse, è arduo, così come è davvero impervio il cammino verso la dignità per chi è stato addestrato da anni a ridurre l’integrità al semplice fatto di non sfilare il portafogli dalle tasche dei cittadini, riservando rassegnata indulgenza a chi lo sfila dalle tasche dello Stato, a chi sfrutta i lavoratori che stanno sulla stessa barca,  a chi li avvelena dopo averli consumati per contribuire allo “sviluppo”, a chi ha colonizzato le teste con il miraggio di facili consumi e costumi, oggi proibiti e repressi.

Da un paio di giorni a celebrare le prestazioni del Re Mida de noantri, sono i giornali economici – dopo quelli dell’arte, estatici per il suo contributo alla conoscenza del capoluogo toscano e dei suoi musei, come fosse un Renzi qualsiasi che gratta i muri per pescare affreschi in favore di telecamera o un Franceschini intenzionato a promuovere la meta Italia very bella, prima delle sue campagne pubblicitarie ignota e inesplorata – che nel giubilo generale ci informano che l’ingresso della Ferragni in consiglio di amministrazione ha fatto “volare la Tods’ in borsa”.

«Ritenendo sempre più importante occuparsi di impegno sociale, della solidarietà verso il prossimo e della sostenibilità nel rispetto dell’ambiente e del dialogo con le giovani generazioni — ha dichiarato l’azienda —, il gruppo Tod’s ha nominato Chiara Ferragni membro del consiglio di amministrazione. Siamo certi che la conoscenza di Chiara del mondo dei giovani, unita all’esperienza dei membri del Cda, possa costruire un gruppo di pensiero dedicato a progetti focalizzati alla solidarietà verso gli altri, con forte attenzione al mondo giovanile che, mai come in questo momento, ha bisogno di essere ascoltato».

È già un bel po’ che la “responsabilità sociale” secondo major, grandi firme, multinazionali si esprime infondendo il bric à brac umanitario incarnato dalle campagne di Toscani per i maglioni di lana mortaccina fabbricati col sudore e pure il sangue di donne e ragazzini di geografie remote, nella propaganda dei marchi di punta.

Non essendo i Benetton, beneficati di altri 10 miliardi, la dinastia dei Della Valle ha fatto bene a premunirsi in attesa della svolta creativa del Grande Reset che stando ai suoi capisaldi ideologici, potrebbe considerarla un buona preda nazionale da annettere a un mega concentrazione, esibendo a propria difesa referenze a un tempo morali, pubblicitarie e manageriali in odor di digitalizzazione.

D’altra parte è da un bel po’ che le imprese che hanno sempre meno da produrre, condannate all’eclissi dall’irruzione delle nuove potenze tecnologiche e commerciali, cercando si acquisire nuovi mercati e consensi con una pennellata green, omaggiando la starlette dell’ambientalismo da giardinieri,  con un camouflage sulle tonalità del rosa offrendo posizioni elevate a donne, per nascondere trattamenti e remunerazioni disuguali,  e adesso è di moda il valore aggiunto del socialwashing, esaltando quel tanto di umanitario, compassionevole e anche sanitario come insegnano i leader del comparto digital-farmaceutico.  

Così la Ferragni può aspirare a essere la Marianna degli italiani, cinta dalla corona turrita per riportarci agli antichi splendori.  

Ma siccome sono in vena di retorica,  se proprio voglio andarmi a cercare un modello civile di solidarietà e riscatto femminista invece di lei, invece della sacerdotessa di Tinder che declina al femminile i fasti che si dischiudono magicamente per le donne che pensano che l’affrancamento dalla cultura patriarcale si giochi adottando le peggiori attitudini virili, penso a Agitu Gudeta, nera, donna,  rifugiata da un paese ex colonia italiana e imprenditrice nel paese  un tempo colonizzatore.