(Daniele Manca – il Corriere della Sera) – «Coraggio», una parola che ricorre spesso parlando con Mario Draghi. La userà in uno dei ricordi della sua infanzia riferiti al padre. «A cavallo tra le due guerre, in Germania, mio padre vide un’ iscrizione su un monumento. C’ era scritto: se hai perso il denaro non hai perso niente, perché con un buon affare lo puoi recuperare; se hai perso l’onore, hai perso molto, ma con un atto eroico lo potrai riavere; ma se hai perso il coraggio, hai perso tutto». Mario Draghi perde a breve distanza l’ uno dall’ altra entrambi i genitori. Ha 15 anni.

Suo padre Carlo, una carriera iniziata in Banca d’ Italia e proseguita in Bnl, muore nel 1963. Sarà una zia a prendersi cura di lui, di sua sorella Andreina e di suo fratello Marcello. Studia al liceo Massimiliano Massimo di Roma dai gesuiti. Nel 1970 si laurea con Federico Caffè, keynesiano, uno degli economisti più in vista in Italia, la cui scomparsa resta ancora un mistero, ma che farà in tempo ad avviare Draghi verso il Mit di Boston affinché studi con il premio Nobel Franco Modigliani.

Di coraggio ne ha avuto bisogno.

E di coraggio Draghi ne avrà ancora bisogno per affrontare l’ accidentato percorso che dovrà portarlo a dare un governo a questo Paese che sembra aver smarrito la strada del buon senso. Ha sperato fino in fondo che la politica riuscisse a ritrovare quella forza che è apparsa perduta in queste settimane, nelle quali si è srotolata la crisi più incomprensibile delle 67 maggioranze che hanno caratterizzato l’ Italia dal Dopoguerra. Non è stato così. La telefonata dal Quirinale è infine arrivata ieri. E Mario Draghi stamattina salirà al Colle: sapeva che non poteva tirarsi indietro.

In una delle sue ultime apparizioni pubbliche, parlando agli studenti dell’ Università Cattolica, nell’ ottobre del 2019, si è augurato «che molti studenti di questa università decidano un giorno di mettere le loro capacità al servizio pubblico. Se deciderete di farlo, non dubito che incontrerete ostacoli notevoli, come succede a tutti i policy maker. Ci saranno errori e ritirate perché il mondo è complesso.

Spero però che vi possa essere di conforto il fatto che nella storia le decisioni fondate sulla conoscenza, sul coraggio e sull’ umiltà hanno sempre dimostrato la loro qualità».

Ci sono 110 giornalisti a seguirlo, 22 radio e televisioni ad ascoltare le sue parole: sono i giorni del passaggio di testimone a Christine Lagarde.

Tutti sentono scandire quella parola, coraggio, associata questa volta all’ umiltà. Perché del Draghi pubblico si conosce tanto, ma di quello privato molto meno. Verrà scoperto tra le file di un supermercato assieme alla moglie Serenella conosciuta a 19 anni sulle rive del Brenta, dove ha una villa la famiglia di quella ragazza che non lascerà più. Faranno il giro del mondo le foto del presidente della Banca centrale europea che come qualsiasi altro cittadino spinge il carrello assieme alla moglie, con la quale ha due figli, Federica e Giacomo, riservati quanto lui.

È lo stesso signore che nel luglio del 2012 con tre parole salverà l’ euro. È il celebre «Whatever it takes», «faremo qualsiasi cosa perché l’ euro resista» alla speculazione che in quei giorni sta attaccando la moneta senza uno Stato.

Conosce i mercati. Sa chi sono gli avversari della moneta unica. Chi si muove sui mercati – in modo rapido, a volte incomprensibile, più spesso strategico – per trovarne le falle e poterci guadagnare. Li conosce anche perché ha lavorato per loro. Nel 2002 per pochi anni è in Goldman Sachs, una delle banche d’ affari più potenti e ramificate al mondo. Quei tre anni avrebbero potuto persino costargli lo sbarco alla Bce. Ma non è così. Piuttosto ha un passaporto che gioca contro di lui, quello italiano.

La Bild , il quotidiano tedesco che senza peli sulla lingua interpreta la pancia profonda della Germania, scriverà: «Draghi è quello della lira! per la memoria: questa era la moneta con un numero infinito di zeri».

L’ 11 maggio del 2011, tuttavia, il portavoce di Angela Merkel annuncia che appoggerà la candidatura di Draghi. La porta d’ ingresso per l’ istituto centrale di Francoforte non è spalancata, ma è aperta.

Vent’ anni prima era stato richiamato in Italia da Guido Carli. Da sei era direttore esecutivo della Banca mondiale.

Ma Carli lo vuole al Tesoro, è il ministro del settimo governo Andreotti. E in Italia le tensioni economiche, finanziarie non sono esplose ma i più accorti sanno che la stagione del consociativismo ha portato il Paese su una china difficile.

Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca d’ Italia, ha l’ intuizione di far arrivare il nome a Carli.

Saranno dieci anni di scosse quelli trascorsi in via XX Settembre. La speculazione contro la lira. Le maxi manovre del governo Amato. A Palazzo Chigi passeranno Berlusconi, Dini, Prodi, D’ Alema, ma Draghi rimarrà al suo posto. Il suo far domande piuttosto che propalare false certezze si trasformerà in un mix di preparazione accademica e diplomazia che lo renderà indispensabile a qualsiasi inquilino di via XX settembre.

Stefania Tamburello lo racconterà nel suo “il Governatore” mentre fa parte dei negoziati che porteranno al trattato di Maastricht. Dovrà sostenere l’ uscita della lira dallo Sme. Arriveranno le grandi privatizzazioni. E sarà attaccato per aver voluto vedere gli investitori finanziari sul panfilo Britannia della regina Elisabetta. Guiderà la Banca d’ Italia.

E sarà lui a essere chiamato alla guida del Financial Stability Forum dai capi di Stato del G20 per capire che cosa è accaduto nella crisi del 2008. E soprattutto a tentare di comprendere come uscirne e fare in modo che non riaccadesse.

E’ in quegli anni che matura i convincimenti che ancora oggi fanno da fondamenta all’ azione della Banca centrale europea. Che lo porteranno a ideare prima e a gestire poi quegli stimoli economici che hanno fatto da barriera a una crisi che poteva portare anche alla fine dell’ Europa come l’ abbiamo conosciuta in questo millennio. Il presidente Sergio Mattarella gli è stato vicino in questi anni. Chissà quante domande avrà ascoltato. E da quali di quei quesiti avrà tratto la spinta a fare la telefonata che probabilmente né il Colle avrebbe voluto fare, né Draghi avrebbe voluto ricevere.