(di Francesco Erspamer) – Una spiegazione a chi mi ha chiesto le ragioni del mio silenzio sull’attuale crisi o me lo ha rimproverato. Non si tratta di indifferenza, scoraggiamento o rassegnazione: si tratta di un intenzionale rifiuto del gossip. Gossip: in inglese benché io detesti gli anglicismi e li consideri un insidioso strumento (e un tragico indice) di colonialismo. Perché i pettegolezzi sono ben altro, forme di espressione, di comunicazione e di partecipazione di comunità reali, e come tali meccanismi di resistenza alle narrazioni imposte dal potere. Mentre il gossip è una totale adesione alle cazzate confezionate dal liberismo per eliminare lo Stato e la società civile, fondata su diritti ma anche su regole, doveri e valori comuni, e sostituirla con un individualismo isterico, ignorante e presuntuoso che inevitabilmente conduce al dominio del più forte, ossia dei ricchi e delle multinazionali.

Ciò che sta accadendo in questi giorni in Italia è puro gossip: una crisi nata dal nulla e riempita di nulla, in assoluto spregio del buon senso e delle più elementari norme della convivenza sociale e politica. Non c’è nulla di politico e di sociale in Renzi o nell’attuale, becera, destra italiana, e non parlo solo dei dirigenti ma di buona parte dei loro sostenitori e elettori: sono bande di avidi speculatori generalmente stupidi e immancabilmente superficiali ma che si credono furbi e vincenti e pur di ottenere qualche vantaggio personale e immediato o di conservare insostenibili privilegi sono disposti a lasciar andare in rovina il paese e svenderlo a Amazon e alle altre megacorporation straniere. Esattamente come successe nel 1494, quando l’intrigante e inetto Ludovico il Moro, credendo di guadagnarci aprì l’Italia ai francesi e la condannò a secoli di servitù e miseria; visto che la storia non si insegna più e comunque non ha importanza (vuoi mettere con il berlusconizzato festival di Sanremo o con le prestazioni sessuali delle mogli o fidanzate di qualche mercenario del pallone?), ecco che si ripete.

Non so come finirà questa fase; spero con un nuovo accordo e un ritorno di Conte al governo, a impedire che i miliardi del Recovery Fund se li rubino la casta, le multinazionali e i trumpisti al loro servizio, e che Berlusconi diventi presidente della Repubblica. Ma anche se riuscissimo a fermarli, non sarebbe comunque una vittoria: soltanto un rattoppo momentaneo. Perché la società civile, in Italia e nel mondo liberista in genere, è allo stremo e senza interventi profondi non sopravvivrà. Mi scuserete dunque se le vicende di questi giorni non mi appassionano: sinceramente, le vedo come un ennesimo diversivo, un prevedibile e mediocre spettacolino mandato in onda per distrarre e infastidire la gente e convincerla che l’unica soluzione sia un compromesso, non importa quale. Non ho nulla contro i compromessi, che preferisco di gran lunga ai massimalismi e all’integralismo del tutto o niente, tipico di chi crede che Dio sia con lui. Per cui, come ho detto, ben venga anche il prossimo accomodamento: tanti auguri a Fico, benché troppo democristiano per i miei gusti. Purché ci si renda conto che c’è ben altro da fare se si vuole salvare l’Italia, che saranno indispensabili ben altre dosi di coraggio, astuzia, abnegazione, lucidità, organizzazione, intransigenza. Da sùbito. Anche l’attuale battaglia contro i maneggi renzian, leghisti e mediatici, riacquista un significato e una dignità politica se utilizzata non solo difensivamente, per cavarsela ancora una volta, ma come opportunità per temprare e addestrare i propri dirigenti e militanti in vista di un’escalation della guerra, ineluttabile e auspicabile. Mi pare che ci siano dei segnali positivi: la lunga deriva del M5S verso un’irrealistica e apolitica nobiltà d’animo e il conseguente struggimento autoconsolatorio, si sta esaurendo. Molti pentastellati stanno riscoprendo l’ottimismo della volontà e dell’azione. È dunque il momento di imparare a combattere; a usare i mezzi necessari, quali che siano (soprattutto se sgraditi agli avversari e ai giornalisti); a fare propaganda e a resistere alla propaganda altrui; a riconoscere, consolidare e premiare la propria base (a spese di quella degli altri partiti); ad assorbire i colpi bassi dei nemici e restituirne di ancora più bassi, infierendo senza pietà non appena si trovino in difficoltà. A brigante brigante e mezzo, diceva il partigiano Pertini.