(di Fabrizio d’Esposito – Il Fatto Quotidiano) – La crisi c’è ma non si vede. Almeno, non ufficialmente. Non è ancora tempo di consultazioni, lampo o meno che siano. Oppure di nomi alternativi a Conte, visto che il bersaglio grosso di questo surreale mercoledì tredici sembra proprio lui, il premier più popolare di sempre. Ergo per approdare alla fatale immagine di ieri sera – Renzi che bombarda Conte ma non apre la crisi – tocca cominciare dalla mattina, dove sul Quirinale si concentra il pressing asfissiante, per dirla in termini calcistici, di tutto il Pd e di parte del M5S, stando alla ricostruzione ufficiosa degli ambienti del Colle. A partire da Nicola Zingaretti, il segretario dei democratici, è tutto un coro rivolto al premier: “Coi Responsabili non si può andare avanti, devi ricucire con Renzi e rivolgerti a lui”. Insomma c’è da salvare l’attuale formula di governo, quella giallorossa, senza lanciarsi in avventure senza un orizzonte lungo. Anche perché la convinzione degli “aperturisti” verso Italia Viva è netta: con i Responsabili non si va oltre la primavera. Dopo ci sono le urne.

La sponda del capo dello Stato è nei fatti.

Sono giorni che da Sergio Mattarella giungono segnali contro un’operazione sostitutiva di Italia Viva con Responsabili di cui non si conosce nulla, né i loro nomi, né quanti siano. E così Conte cede e decide di salire al Quirinale nel pomeriggio. Una mossa che viene letta anche come la possibilità di neutralizzare la prevista conferenza stampa di Renzi alle cinque e mezza della sera. La sostanza del colloquio tra Mattarella e l’Avvocato è questa: “I Responsabili non ci sono, io voglio andare avanti con questa maggioranza”. Ovviamente, il presidente della Repubblica ribadisce per l’ennesima volta che la soluzione di questo caos deve essere rapida, con un Paese in piena emergenza pandemica. Tuttavia la sensazione è che il premier torni sui suoi passi di ieri, “mai più con Italia Viva se rompe”, a malincuore. Obtorto collo. In ogni caso l’apertura pubblica arriva poco dopo (ma senza mai citare Italia Viva) e un tiepido ottimismo fa sperare il Colle. Invece.

Invece l’ex Rottamatore dal due per cento rompe lo stesso ma fino a un certo punto. Certo, descrive Conte come una sorta di Trump nativo della provincia di Foggia, ma al Quirinale badano più alla decisione finale di Renzi, che è quella di non voler aprire sino in fondo la crisi. Ed è da qui che prende forma il buio persino al Colle. Che significa la disponibilità di Renzi a votare altri provvedimenti decisivi di questi giorni, dal decreto Ristori allo scostamento di bilancio? Di conseguenza, ed è questa la domanda principale, cosa farà Conte? Andrà al Quirinale per dimettersi oppure congelerà il ritiro di Bellanova e Bonetti e andrà avanti per un’altra settimana? La previsione infatti è che il premier possa andare alle Camere giovedì prossimo per cercare la fiducia con il sostegno dei famigerati Responsabili.

In ogni caso, almeno fino a ieri sera il capo dello Stato non ha avuto notizie sulla strategia futura di Conte. Anche se c’è la consapevolezza di aprire una finestra prima delle consultazioni (se l’eventuale fiducia dei Responsabili non dovesse esserci) per approvare appunto decreto Ristori e scostamento e completare così l’iter avviato l’altra sera con il consiglio dei ministri sul Recovery Fund. E rispetto alla crisi dell’agosto del Diciannove, si fa notare, la differenza è tanta. Il Papeete di Renzi in realtà ributta la palla nella metà campo dell’odiato Avvocato, che in piena solitudine potrebbe riprovare l’operazione Responsabili. Una decisione che al Quirinale continua a non essere valutata con favore. A meno che un pezzo di Forza Italia non si stacchi sul serio.

Il centrodestra compatto: “ora si torni al voto”

La destra coglie la palla al balzo e si presenta unita di fronte all’apertura della crisi di governo. Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi firmano una nota congiunta con cui chiedono le dimissioni di Giuseppe Conte e il ritorno alle urne: “Il premier prenda atto della crisi e si dimetta, si presenti domani in Parlamento per chiedere un voto di fiducia. La via maestra resta quella delle elezioni. Ci affidiamo alla saggezza del presidente della Repubblica per una soluzione rapida, ribadiamo la nostra indisponibilità a sostenere governi di sinistra”.