(di A. Di Battista – tpi.it) – Nel 1960 Enrico Mattei, uno degli italiani più coraggiosi del dopoguerra, partecipò a una puntata di Tribuna elettorale – programma tv condotto da Gianni Granzotto – per raccontare a milioni di italiani cosa fosse diventato l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) sotto la sua presidenza.

L’ENI venne istituito nel 1953, al termine della I legislatura della Repubblica Italiana. Presidente del Consiglio era De Gasperi, Piola giocava in serie A, Stalin era ancora vivo e Giorgio Napolitano non era ancora deputato. Lo divenne, per la prima volta, pochi mesi dopo.

L’ENI nacque su iniziativa dello stesso Mattei, ex partigiano di area cattolica, che venne scelto nel 1945 per liquidare l’Azienda Generale Italiana Petroli (AGIP), la compagnia petrolifera pubblica creata durante il fascismo. L’Italia aveva perso la Seconda guerra mondiale ed era terra di conquista per le imprese statunitensi. In particolare la Standard Oil of New Jersey, che poi divenne la ESSO, stava investendo nel nostro Paese.

All’epoca di Mattei la Standard Oil of New Jersey era una delle sette sorelle, le principali compagnie petrolifere mondiali che dettavano legge e decidevano i prezzi della benzina ed i governi dei paesi produttori. Chi toccava i loro interessi aveva i giorni contati.

Nel 1953 il premier iraniano Mossadeq – un nazionalista laico, non un fondamentalista islamico – nazionalizzò l’industria petrolifera persiana e la raffineria di Abadan, la più grande al mondo, controllate in quegli anni dall’Anglo-Persian Oil Company, l’attuale British Petroleum. Mossadeq riteneva che il petrolio appartenesse al popolo iraniano e non a una multinazionale con sede a Londra.

Mossadeq venne deposto da un colpo di Stato organizzato dalla Cia e dai servizi segreti britannici e le sette sorelle formarono il Consorzio per l’Iran, il cartello che controllava la produzione persiana. Il cartello, di fatto, faceva la politica estera mondiale.

Mattei decise di rilanciare l’AGIP al posto di liquidarla e fu la prima volta che fece arrabbiare una delle sette sorelle. D’altronde la richiesta di chiudere l’AGIP e mozzare con un colpo netto la mano pubblica sul settore petrolifero italiano veniva direttamente da Washington.

Nel 1945 l’ambasciatore statunitense in Italia Alexander Comstock Kirk ricevette una lettera dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America che conteneva la richiesta di porre fine alla partecipazione del governo italiano negli affari petroliferi perché ciò pregiudicava le relazioni commerciali italo-americane. Di fatto una forte industria petrolifera pubblica italiana pregiudicava gli interessi della Standard Oil of New Jersey.

Mattei tirò dritto e i primi governi italiani lo lasciarono fare. L’AGIP venne rafforzata, così come altre società energetiche controllate dall’azienda, e tutte confluirono nell’ENI. L’ENI divenne sempre più grande grazie al talento e alla spregiudicatezza di Mattei, spregiudicatezza messa al servizio dell’interesse pubblico.

Mattei strinse accordi con i Paesi produttori: concluse affari in Iran rompendo il monopolio del cartello, in Unione Sovietica ruppe la divisione in blocchi decisa nella Conferenza di Jalta, in Algeria sostenne apertamente la causa indipendentista guadagnandosi per questo – come Sartre – le minacce di morte da parte dell’OAS (Organisation de l’armée secrète), l’organizzazione paramilitare francese creata per combattere, anche con attacchi terroristici, gli indipendentisti algerini. Tra il 1961 ed il 1962, anno della morte di Mattei, l’OAS assassinò quasi 3.000 persone.

Durante la puntata di Tribuna elettorale Mattei raccontò l’incontro avvenuto l’anno prima con uno dei massimi dirigenti di una delle sette sorelle. Non fece il nome ma probabilmente si riferiva ad Arnold Hofland, capo del settore Europa meridionale della Shell.

Hofland cercò di convincere Mattei ad alzare i prezzi della benzina in Italia per guadagnare tutti di più. Mattei, in diretta TV, spiegò il perché non potesse farlo.

“È proprio il contrario di quello che devo fare io, che sono l’esponente dell’azienda dello Stato. Io devo cercare di portare al consumatore tutto quello che è possibile”. Portare al consumatore, ai cittadini italiani, i suoi datori di lavoro (sebbene Mattei non ricevesse una lira di stipendio dall’ENI) tutto il possibile.

Prezzi bassi, benzina di qualità, investimenti nella distribuzione, motel puliti ed economici per i camionisti e, soprattutto, indipendenza energetica. Portare al consumatore tutto quello che è possibile.

Occorrerebbe aggrapparsi a questa frase per chiedere la nazionalizzazione di Autostrade per l’Italia (ASPI), la società dei Benetton. Dopo gli arresti dei massimi dirigenti di ASPI tra i quali l’ex amministratore delegato Castellucci, e soprattutto dopo la pubblicazione dei risultati delle perizie dei tecnici sul crollo del Ponte Morandi, neppure la revoca della concessione è sufficiente.

Lo Stato deve tornare a controllare le autostrade: oltretutto si tratta di infrastrutture costruite grazie alle tasse dei cittadini, dei consumatori ai quali si riferiva Mattei.

Sono passati 868 giorni dalla strage di Genova. 868 giorni duranti i quali la famiglia Benetton ha continuato a incassare pedaggi su pedaggi. Ci sono stati 43 morti, centinaia di sfollati, arresti illustri e parole scritte nelle perizie sul crollo che gridano vendetta.

I consulenti del giudice per le indagini preliminari, nella loro perizia, hanno scritto che se controlli e manutenzione “fossero stati eseguiti correttamente, con elevata probabilità, avrebbero impedito il verificarsi dell’evento”. Inoltre che “non sono stati individuati fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possano avere concorso a determinare il crollo”.

Se Autostrade per l’Italia avesse compiuto normali controlli e fosse intervenuta per contrastare la corrosione dell’acciaio dei piloni, il Ponte Morandi starebbe ancora in piedi. “È molto triste ma finalmente chiaro avere conferma che tutto poteva essere evitato”. Sono parole di Egle Possetti, presidente del comitato delle vittime del Morandi, che in quel maledetto 14 agosto del 2018 ha perso a Genova la sorella, i nipoti e il cognato.

Una tragedia che si sarebbe potuta evitare, se non ci fosse stata “incuria, omesso controllo, consapevole superficialità e brama di profitto”. Queste sono parole del Presidente della Repubblica Mattarella.

Enrico Mattei da una parte, Castellucci dall’altra. Tutti e due pensavano al loro datore di lavoro, solo che nel caso di Mattei era il popolo italiano, per Castellucci la famiglia Benetton. Mentre il primo pensava di dover portare al consumatore tutto ciò che fosse possibile, il secondo pensava alla famiglia che l’aveva reso miliardario.

Nel Paese delle etichette facili chi ritiene l’accoglienza interessata l’altra faccia dello sfruttamento dei migranti è un poveraccio di destra. Chi non vorrebbe vendere più armi all’Egitto di Al-Sisi un poveraccio di sinistra. Chi sostiene la causa palestinese è un antisemita nonostante anche i palestinesi siano semiti. Chi considera una vergogna il bloqueo che da 58 anni colpisce Cuba è un comunista. Chi ritiene che nazionalizzare le autostrade, a partire da quelle dei Benetton, sia una soluzione di civiltà è considerato un pericoloso statalista.

Mattei morì in un incidente aereo il 27 ottobre del 1962. Prove che si trattò di un omicidio non ve ne sono. I sospetti sono migliaia. Nel 2016 la prima sezione penale della Cassazione depositò le motivazioni della sentenza sulla morte del giornalista Mauro De Mauro, sparito, a Palermo, il 16 settembre del 1970. Per la giustizia italiana De Mauro venne assassinato da Cosa Nostra perché era a conoscenza di notizie riservate sulla morte di Mattei.

La morte di Mattei fece comodo a molti. A politici pavidi invidiosi del suo coraggio e della sua capacità politica. Fece comodo ai francesi della Total, ai terroristi dell’OAS, agli azionisti della ESSO, della Shell, della Chevron e della Texaco. Fece comodo al Dipartimento di Stato americano, che ebbe un ostacolo in meno per il suo progetto di colonizzazione liberista del mondo. Fece comodo a tutti coloro che, da oltre sessant’anni, si adoperano per dimostrare alla pubblica opinione che privatizzare è bello.

Tanti si sono convinti, tanti si informano. Tanti hanno la memoria corta. Tanti contano i giorni passati dalla tragedia di Genova. Negli anni ’90, per far quadrare i conti ed entrare nei parametri imposti dall’Unione europea, sedicenti governi progressisti – che avrebbero dovuto seguire le orme di Mattei – svendettero gioielli pubblici ai privati. Quote delle partecipate di Stato, gestioni degli aeroporti, concessioni autostradali.

Il pubblico esiste ancora, ma, quantomeno per quel che riguarda le autostrade, gestisce ciò che non è redditizio. ANAS amministra decine di migliaia di chilometri di strade. Alcune tratte le gestisce bene, altre meno. Il punto è che gestisce quelle meno vantaggiose. Le galline dalle uova d’oro, come l’A1, la Bologna-Padova o la Milano-Torino, ovviamente, sono state date in concessione ai privati.

Oggigiorno, sebbene la tragedia del Covid abbia mostrato al mondo intero l’importanza dello Stato e della sanità pubblica, chi osa pronunciare la parola nazionalizzazione è considerato un eretico, un sacrilego, un blasfemo. Chi osa mettere in discussione le concessioni regalate ai privati che, a loro volta, restituivano il favore sotto forma di finanziamento alla politica viene dileggiato, irriso a mezzo stampa, disprezzato magari proprio da coloro che, a favor di telecamera, inneggiano a Mattei e al suo grande senso dello Stato.

Quel Mattei che non volle alzare i prezzi della benzina, e magari proprio per questo perse la vita, in quanto doveva portare al consumatore tutto il possibile. Quel Mattei al quale oggi dedicano strade e piazze, convegni e fiction. Quel Mattei che, da morto, viene incensato da tutti quanti, anche da coloro che appena aprono bocca lo fanno rivoltare nella tomba.