(Fabrizio Roncone – Sette) – Guardate che qui ci stiamo perdendo una storia strepitosa. Emblematica. Una lezione di pura politica che dovrà servire a tutti noi che di solito ne scriviamo per lavoro, a chi la pratica per mestiere, e anche e soprattutto al suo protagonista: Carlo Calenda. Premessa: a me Calenda sta simpatico. Non dico che sia un genio, un fuoriclasse, un miscuglio tra De Gasperi e Togliatti.

Dico solo che se guardo Calenda e poi guardo qualche ministro o ministra dell’attuale governo in carica, ecco: poi provo un’istintiva simpatia per Calenda, che a me sembra uno competente, veloce, deciso, certo molto pieno di sé, ha quell’aria un filo pariolina, poi la voce è proprio tutta pariolina, però a me davvero pare che di uno così ci si possa fidare. Casomai – e qui entriamo nella storia che voglio raccontarvi – è lui che forse dovrebbe fidarsi un po’ meno di se stesso.

Della sua irrequietezza. Perché Calenda ha clamorosamente sbagliato i tempi della candidatura a sindaco di Roma, città in macerie fumanti dopo l’era di Virginia Raggi, che però imperterrita e minacciosa annuncia comunque di voler restare al Campidoglio (questi grillini: quando trovano una poltrona, non li schiodi nemmeno chiamando i parà della Folgore).

Calenda annuncia di voler correre per la carica di sindaco circa un mese fa. Ha visto che il Pd cincischia e non riesce a trovare un candidato di rango, tutti rifiutano (da Letta a Sassoli), e le primarie che si ipotizzano sono state subito definite dei “sette nani”, perché vi prenderebbero parte figure minori. E allora lui, Calenda, pensa (con la pancia): mi schiero, il Pd sarà costretto a venirmi dietro. Errore blu. Intanto, Calenda sottovaluta Nicola Zingaretti. Che resta – è la sua vecchia tattica – immobile.

E poi non considera il ritorno del Covid (intuire il futuro, in politica, è decisivo). Di nuovo sotto pandemia, il centrodestra rimanda infatti la scelta del suo candidato al nuovo anno, mentre nel Pd comincia a circolare una voce piuttosto forte: le elezioni a sindaco possono slittare a giugno, o magari, sarebbe meglio, direttamente a settembre. Eccolo perciò lì Calenda, che continua la sua personale campagna elettorale, ma sembra Vittorio Gassman/ Peppe er pantera nel film “L’audace colpo dei soliti ignoti”: “M’hanno rimasto solo, quei quattro cornuti”».