(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Non essendo mai riuscito ad arrivare primo alle elezioni politiche, l’Innominabile si accontenta del record mondiale della lite temeraria. Così, non bastando le 15 intentate al Fatto, ne annuncia una contro Davigo, colpevole di avergli ricordato in tv che “non basta essere onesti: bisogna anche sembrarlo” (alla parola “onesti”, ha messo mano alla fondina). Ora, non vorremmo frustrare le sue scarse speranze residue, ma temiamo che il record sia già assegnato di diritto per almeno trent’anni a Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidentessa del Senato, che ci ha appena recapitato un atto di citazione ineguagliabile. Più che una causa civile, una pièce teatrale che inaugura un nuovo genere drammaturgico: il vaudeville giudiziario. Già la “premessa in fatto” è irresistibile: “L’attrice (cioè lei, ndr) è notissimo avvocato matrimonialista, di fama nazionale, che ha sempre condotto grandi battaglie a tutela delle donne e dei minori…”: tipo Ruby, la celebre nipote di Mubarak, almeno secondo la mozione votata nel 2011 dal centrodestra, Casellati compresa. “…e in generale a sostegno della famiglia in tutte le sue espressioni”: infatti nel 2005, sottosegretaria alla Salute, assunse come capo della sua segreteria sua figlia Ludovica con uno stipendio – scrisse Gian Antonio Stella sul Corriere – “di 60mila euro l’anno, quasi il doppio di quanto guadagna un funzionario ministeriale del 9° livello con 15 anni di anzianità”.Ma l’autoagiografia prosegue: “Scesa in politica (sic, ndr) nell’anno 1994 ha assunto fin da subito ruoli di vertice…”: tipo presidente di commissione, vicecapogruppo di FI, sottosegretario e commissario provinciale del partito a Rovigo. “…distinguendosi per competenza ed equilibrio, e manifestando grande dignità e rispetto nei confronti delle istituzioni”: infatti nel 2013 partecipò alla gazzarra dei parlamentari forzisti davanti al Tribunale di Milano che osava processare il suo capo e, quando quello fu condannato per frode fiscale ed espulso dal Senato per legge (Severino), si presentò in aula di nero vestita insieme alle altre prefiche in segno di “lutto per la democrazia” contro un fantomatico “plotone di esecuzione”. Caso tipico di equilibrio, grande dignità e rispetto nei confronti delle istituzioni. Esaurita la causa di autobeatificazione, si passa alle vite dei congiunti. La figlia Ludovica lavora a Mediaset e Publitalia ’80, poi “per ragioni familiari si dedica esclusivamente al cicloturismo”, diventando subito “un punto di riferimento per il mondo a due ruote”, ma anche “nel mondo del web”, dove “è conosciuta come Ladybici”. Accipicchia. Spiace che, nella fretta, sfugga alla biografa l’impiego di Ladybici a capo della segreteria di mammà.

Poi c’è il figlio Alvise, “violinista, manager e direttore d’orchestra”, che voi non ci crederete, ma è “considerato uno dei talenti emergenti degli ultimi anni”. Cuore di mamma. Voi direte: ma perché vi fa causa? Perché il Fatto “ha imbastito una pressoché quotidiana campagna di dileggio dell’attrice (sempre lei, ndr)”. E non perché abbiamo pubblicato fatti falsi (sono tutti veri), ma perché lei è “donna, per di più eletta nella lista di Forza Italia”. Insomma, siamo sessisti: mica come il suo capo, sempre così rispettoso del gentil sesso fin dalla più tenera età. Segue una lista di articoli improntati al “vituperio e vilipendio” che avrebbero leso la sua immacolata reputazione e rovinato la sua vita e la sua famiglia: tipo quelli sulle strabilianti coincidenze fra i concerti di Alvise in giro per il mondo e le sue missioni istituzionali nelle stesse località, anche le più remote ed esotiche, tipo Colombia e Azerbaijan (dov’è popolarissima e tutti la vogliono); e sul suo strano vitalizio extralarge, esteso agli arretrati del Csm, in barba ai regolamenti parlamentari.A noi parevano fior di notizie, non su una passante, ma sulla seconda carica dello Stato, che potrebbe pure diventare la prima (Dio ci conservi Mattarella). Invece per lei dare notizie vere è “stalking mediatico” e “fuoco di fila circa tre volte la settimana”, prima e dopo i pasti. La prova? Siamo “l’unica testata nel panorama della stampa ad aver mantenuto un tale atteggiamento”, mentre le altre non le danno mai fastidio. Il che – testuale – “allontana qualsiasi ipotesi di oggettiva esigenza notiziale”. L’idea che noi facciamo i giornalisti notiziali e altri i camerieri servili non la sfiora. E dire che si crede “in primis giurista”. Infatti ci accusa di averla “colpita nei suoi affetti più cari” e, per tutta risposta, ci colpisce nel portafogli. Però si contenta di poco: 150mila euro. E “non certo per finalità di locupletazione personale”: solo per lenire un po’ “l’incidenza negativa” dei nostri articoli “sulla qualità di vita dell’attrice”. Si è sentita poco bene? Peggio: è “condizionata dall’automatica insorgenza di remore ogni qual volta ella, come madre, si trovi a condividere esperienze e successi dei figli”. Pensa di nominare Ludovica da qualche parte? Ecco insorgere automatica la remora: oddio, cosa scriverà il Fatto? Non solo. La “campagna mediatica la turba, avvilisce e scoraggia dal partecipare ai concerti del figlio Alvise” e addirittura “la induce a rinunziare spiacevolmente e ingiustamente alla propria presenza ai concerti, e alla passione per la musica”: non mette più su nemmeno un disco, per dire, “quando la musica è interpretata e diretta dal figlio”. Non so voi. Ma io, nei panni del Maestro Alvise, qualche domanda me la farei.