(di Lucio Musolino – Il Fatto Quotidiano) – Diciotto ospedali chiusi in Calabria negli ultimi dieci anni. Cinque ospedali finanziati e mai realizzati. Due Asp su cinque sciolte per infiltrazioni mafiose. Bilanci non approvati e debiti fuori controllo per centinaia di milioni. Un piano di rientro che dura dal 2010 con la conseguenza di un blocco delle assunzioni e un turnover inesistente: chi va in pensione, in sostanza, non viene sostituito. E poi c’è l’emigrazione sanitaria. Prima della pandemia chi poteva andava a curarsi nel Nord Italia e la Regione Calabria pagava circa 330 milioni di euro all’anno con cui sostanzialmente finanziava il sistema sanitario lombardo, veneto ed emiliano.

Da sempre mangiatoia della peggiore politica, la sanità in Calabria sta manifestando tutte le sue fragilità con l’emergenza Covid. Non è solo una questione di posti letto di terapia intensiva. C’è molto di più. A queste latitudini manca tutto: medici, rianimatori, anestesisti e infermieri. Assieme ai cittadini, sono le vittime di un piano di rientro che la Regione e i vari governi non sono mai riusciti a superare perché non hanno affrontato i veri problemi del sistema sanitario in Calabria, terra dove ‘ndrangheta e sanità è da sempre un binomio imprescindibile da prima dell’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale Franco Fortugno nel 2005. Sullo sfondo di quel delitto politico-mafioso, infatti, c’era appunto il mondo della sanità.

Molti misteri su come funzionano gli ospedali e le Asp calabresi potrebbero essere svelati se il ministero dell’Interno e il governo decidessero di desecretare la relazione della commissione di accesso all’Asp di Reggio Calabria, sciolta per mafia nel febbraio 2019. Lì ci sono i nomi, o almeno una parte, dei responsabili del disastro che, dopo la rinuncia dell’ex rettore Eugenio Gaudio, il nuovo commissario ad acta dovrà affrontare. Si potrebbe capire a chi venivano dati gli appalti prorogati, senza una gara pubblica e quali erano le ditte che, “per motivi d’urgenza”, non presentavano nemmeno il certificato antimafia. Si potrebbero scoprire chi sono gli imprenditori e le case farmaceutiche che per anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo, mandando all’incasso sempre le stesse fatture milionarie, confidando sul fatto che l’Asp di Reggio non aveva una contabilità e, quindi, non era in grado di dimostrare che quei soldi erano stati già pagati. Denaro pubblico nelle tasche dei privati: il perché succedesse così lo ha scoperto il medico e scrittore Santo Gioffré. Nominato commissario, infatti, cinque anni fa si era accorto che le casse dell’Asp erano un pozzo dove mangiavano tutti. Un giorno si è rivolto ai pm dopo aver bloccato un pagamento di 6 milioni di euro a una clinica che lo aveva già incassato sette anni prima.“Chi viene qua si deve fare il segno della croce”. Per Gioffré “non si può chiedere al governo di appianare i debiti se non si ricostruisce il pregresso”. Secondo l’ex commissario ad acta Massimo Scura adesso “serve una nuova squadra per calcolare il debito delle Asp. Non c’è un’informatizzazione del sistema sanitario che doveva essere gestita dalla Regione”. Stando a una relazione consegnata ai commissari prefettizi dall’ex dg Giacomino Brancati, l’Ufficio economico finanziario dell’Asp è stato retto per anni da dirigenti amministrativi “privi di competenze specifiche”.