(Mario Giordano – La Verità) – E poi all’ improvviso accendo la Tv e sento dire che era tutto prevedibile. Che non stupisce. Che era facile da sapere. E da raccontare.

L’ altra sera a Piazzapulita Gad Lerner aveva il solito tono del maestrino con il rolex rosso che dà lezioni di giornalismo, di etica e di vita al mondo intero. Nella circostanza si stava parlando dei Benetton.

Delle intercettazioni scandalose. Dei manager delle Autostrade che si confessavano l’ un l’ altro «i cavi del Morandi sono corrosi» ma anziché sistemarli si giravano dall’ altra parte, dicendo «sticazzi, me ne vado». Del fatto che poi hanno tentato di cancellare le prove delle loro porcherie («portati un bel trolley grosso che cominciamo»). Della sicurezza degli italiani messa rischio per garantire maggiori guadagni ai ricconi di Treviso («Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, così distribuivamo più utili. I Benetton erano contenti. Gilberto eccitato, suo fratello di più»).

Si stava parlando, insomma, di una confessione a microspia aperta, di comportamenti indegni sulla pelle delle vittime («quaranta morti de qua, quarantatre de là siamo tutti sulla stessa barca»), di uno degli scandali che rivela gli intrecci peggiori di un’ imprenditoria malata con la parte malsana della nostra politica. Ebbene Lerner sapeva tutto. Peccato soltanto che non l’ abbia mai detto. Ora ci spiega che era tutto facile da raccontare, si capisce. Ma, purtroppamente, né lui né i suoi compagni di scorribanda in yacht l’ hanno mai raccontato.

Il 15 agosto 2018, il giorno dopo il crollo del Ponte Morandi, su questo giornale campeggiava con bella evidenza il nome dei Benetton. Fin da subito abbiamo spiegato che erano loro i gestori (inadeguati, figli di un sistema malato) di quel tratto di autostrada. Fin da subito dicevamo che le spese per le manutenzioni delle autostrade (poco più di 200 milioni di euro l’ anno) erano insufficienti e inferiori a quanto previsto nei piani finanziari. E che il ministero che doveva controllare non aveva mai controllato. E sempre su questo giornale si è raccontato, nei giorni successivi, il festino di Ferragosto a Cortina della famiglia di Treviso, alla faccia dei morti. E sempre su questo giornale, nei mesi successivi, si sono raccontati, passo per passo, le meschinità che saltavano fuori dalle inchieste e dalle trattative maldestre del governo.

Non ricordo battaglie di Gad Lerner per sbugiardare le malefatte dei Benetton. Non ricordo i suoi scoop. Anzi, nei mesi successivi alla tragedia del Ponte Morandi, lui ha iniziato a collaborare con Repubblica, uno dei giornaloni che si è sempre distinto nella corsa a nascondere il nome dei signorotti di Treviso. O, peggio, a lisciare loro il pelo con interviste da consumarsi la lingua (vero Francesco Merlo?).

Il direttore di questo giornale, Maurizio Belpietro, è andato in tv a fare il nome dei Benetton senza paura. Il sottoscritto ci ha dedicato intere parti della sua trasmissione Fuori dal Coro da due anni a questa parte.

Gad Lerner dov’ era? E dov’ erano tutti gli altri? Quelli che adesso ci spiegano che «tutti sapevano»? Se sapevano perché non parlavano? Perché s’ inalberavano ogni volta che si citava il sacro nome di Treviso? Tutte le volte è la stessa storia. Se ne stanno acquattati, lisciano il pelo ai potenti, poi dopo vengono a farci la lezioncina di giornalismo, etica, storia, professione, vita. Si capisce. Noi siamo i populisti. Noi siamo i beceri. Io sono pure un guitto, un clown, come mi definisce Gad Lerner nel suo ultimo libro L’ Infedele, una «macchietta». Ma si dà il caso che quella macchietta ha cominciato a raccontare lo scandalo delle autostrade ancor prima che il Ponte Morandi crollasse. E ha continuato dopo. Mentre lui, che ora viene a impartire lezioncine, taceva da vile qual è. Troppo abituato a servire i potenti, ormai, per poterli denunciare.

È lui stesso a confessare, nel suo libro, la fatale attrazione per l’ establishment e la bella vita, gli inviti sulle barche dei potenti alle Seychelles, la villa di De Benedetti in Sardegna e l’ elicottero di Gianni Agnelli, il sodalizio con Romano Prodi, i miliardari e i banchieri, tutta roba che gli fa venire ancora l’ acquolina in bocca soltanto a raccontarlo, schiaffando tutto questo lusso in faccia a noi poveri mortali, che nella vita non siamo stati in grado nemmeno di fare una vacanza (nemmeno una) negli atolli polinesiani a spese del riccone di turno.

Siamo proprio dei pezzenti, si capisce. Ma da pezzenti quali siamo l’ altra sera guardavamo esterrefatti Lerner che accusava il governatore della Liguria Giovanni Toti perché, in una telefonata finita nelle intercettazioni, dava del «tu» al potente uomo dei Benetton, Giovanni Castellucci.

Non potendo rimproverargli altro (quella era evidentemente una normale telefonata senza risvolti di nessun tipo), Lerner redarguiva Toti con il ditino alzato e il sopracciglio tremante (fateci caso: gli trema sempre il sopracciglio quando sta per dire una scemenza): «Mi ha stupito quella confidenza». Ma davvero? O scherzi? Sei salito sull’ elicottero di Gianni Agnelli, ti fai fotografare in mutande con De Benedetti, ti vanti degli inviti dei potenti di tutta Italia, e poi ti stupisci che un governatore dia del tu a colui che amministra un pezzo del suo territorio? Ma ci fai o ci sei?

Hanno la faccia come il cucù. Ma ormai sto cominciando a rassegnarmi. Per un certo periodo avevo sperato che questo senso di superiorità morale dei presunti intellettuali di sinistra si potesse frenare. O ridurre. Invece no: vedo che si sta tornando indietro. Temo che passerò il resto dei miei anni a sentirmi dare lezioni di vita, etica e giornalismo da chi sa di avere la coscienza sporca, se ne vergogna, magari cerca di coprirla con formule assurde (come fa Gad tirando in ballo a sproposito l’ antisemitismo o la «casualità» dell’ ascesa al potere), ma non si trattiene dal salire in cattedra.

Che poi se Lerner volesse davvero spiegare qualcosa su Autostrade e Benetton potrebbe chiedere direttamente al suo amico Prodi. In effetti fu lui a volere quella privatizzazione. Fu lui a licenziarla in quelle forme. Fu un uomo di Prodi come il professor Gian Maria Gros Pietro a guidare l’ operazione da presidente dell’ Iri, salvo poi diventare presidente di Atlantia (con un milione di euro l’ anno di stipendio) dopo la privatizzazione. E fu la sinistra, riferimento culturale dei Benetton e di Lerner, a difendere quelle concessioni capestro e a impedire che venissero cambiate.

Tutte queste cose, ne siamo sicuri, Gad le conosce da un pezzo. Ma non le dice. Altrimenti come farebbe a continuare a darci lezioni?