(Tommaso Labate per il “Corriere della Sera) – «Forza, andiamo. Accompagnatemi a Rebibbia». A questo punto c’ è stata una pausa, che ai presenti è sembrata quella di un consumato attore di teatro, ma che in realtà gli sarà servita per ricacciare in gola il magone, la tristezza, lo sconforto. Quindi è arrivata la battuta fulminante, da perfetto interprete di quell’ ironia brutale tutta toscana, servita per tranquillizzare i familiari con le sue borse in mano. «Tanto da adesso c’ è il lockdown, giusto?».

Nel tragitto che lo separa dalla sua casa nel centro di Roma al carcere di Rebibbia, dove si è costituito nel pomeriggio a seguito della conferma in Cassazione di una condanna a sei anni e mezzo di carcere, a Denis Verdini saranno passate innanzitutto le ultime immagini da uomo libero.

Il dolore dei familiari, la preoccupazione per i figli, a cominciare da Francesca, con cui ha un legame molto stretto; e poi il viso contrito del genero Matteo Salvini, che ha annullato le uscite pubbliche e le partecipazioni previste in tv per rimanere accanto alla sua compagna e farle forza, autoconsegnandosi a un silenzio che durerà fino a stamattina, quando parteciperà a una trasmissione di RaiTre.

Il destino ha voluto che la notizia venisse confinata nella parte bassa dei siti Internet, schiacciata da un governo che sta decidendo le mosse su come contrastare la pandemia, dal ritorno del terrorismo di matrice islamica, dalle elezioni americane. In realtà, con l’ arresto di Verdini si chiude plasticamente la Seconda Repubblica e viene posta l’ ultima pietra sopra all’ ultimo patto che l’ aveva tenuta in vita – il «Nazareno» di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, l’ ultimo trait d’ union tra il centrosinistra e il centrodestra di conio tardo novecentesco – di cui l’ ex uomo macchina del berlusconismo era stato ideatore prima e gran cerimoniere dopo.

Non a caso sono state proprio le loro, quella di Renzi e quella di Berlusconi, le ultime due telefonate a cui Verdini ha risposto prima di spegnere il telefonino attraverso cui sono passate le più importanti tele bipartisan tessute nelle aule parlamentari nell’ ultimo ventennio, le più oscure trame politiche, le più incredibili bozze di leggi elettorali e di riforme costituzionali.

«Vedi», è stato il senso del ragionamento svolto al telefono col Cavaliere, che sa come ci si sente dopo una sentenza confermata dalla Cassazione, «io ho trascorso gli ultimi mesi ad abituarmi al fatto che sarei finito in carcere. Poi però, dopo che il procuratore generale aveva sollecitato l’ annullamento della sentenza d’ Appello con rinvio a un nuovo processo, ho passato le ultime ore convinto che in galera non ci sarei finito. Credimi, così è durissima».

Nell’ uomo, ancorché sconfitto, non sembra esserci traccia di pentimento. Nemmeno rispetto alla scelta di evitare il patteggiamento, una strada che mesi fa avrebbe potuto ricondurre il perimetro temporale della pena al di sotto dei cinque anni evitandogli così il carcere.

«Sono ancora convinto di avere ragione e sono ancora convinto che il ricorso in Cassazione fosse fondato, come l’ ha ritenuto anche l’ accusa», ha ripetuto fino all’ ultimo secondo prima di lasciare dietro di sé la più amara delle porte chiuse da fuori, quella di casa propria. Resta il dubbio sul sapore dell’ ultima sigaretta all’ aria aperta, visto che le sigarette fanno ancora parte dell’ immaginario cinematografico dell’ ultimo desiderio degli uomini liberi.

Con una sigaretta era iniziato anche il Patto del Nazareno, la base dell’«accordone» con Renzi era stata posta quando Enrico Letta era ancora presidente del Consiglio, inizio 2014. Verdini che entrava di nascosto a Palazzo Vecchio, nella sua Firenze, raggiungendo l’ ufficio ricoperto di affreschi del sindaco. «Oh, Matteo, io fumo. Posso, no?». L’ 8 maggio compirà settant’ anni e potrà andare ai domiciliari. E chissà cos’ avrà da raccontare delle pareti senza affreschi di Rebibbia. «Tanto comunque ora c’ è il lockdown, no?».