(Giuseppe Di Maio) – In un paese del nord Europa, dopo il liceo, il welfare mette a disposizione un salario d’inserimento al lavoro. Una cosa di poche centinaia di euro che qualche anno fa ha dovuto fare i conti con i problemi di cassa. Poi, a tutti quelli che hanno maturato i due anni consecutivi di lavoro, assicura in caso di necessità un salario di disoccupazione. Quando non si hanno nemmeno questi requisiti, i comuni erogano ai concittadini in difficoltà una finanza equivalente a quella della disoccupazione senza limiti di ISEE. Anzi, quand’anche un cittadino fosse ricco, lo Stato gli domanda come faccia a vivere senza lavorare. Ho saputo di una donna che viveva in una sfarzosa dimora, ma senza reddito alcuno e incapace di provvedere a se stessa. Un servizio comunale provvedeva alle necessità sue e della sua casa.

In Italia quello che passa per reddito di cittadinanza è un sussidio di povertà, legato alla mancanza di lavoro e all’ISEE. Una cosa da minimo sostentamento, che prima però non c’era. E ora che c’è, molti vorrebbero toglierla, adducendo motivi morali, economici e politici. L’ultimo dei dispensatori di dubbi all’italiana è stato Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna, che dopo il liceo scientifico ha trovato lavoro nel PCI, poi PDS, DS e PD. Insomma un forzato della politica che ho avuto poche occasioni di ascoltare, e ne hanno avute poche anche i suoi corregionali nel periodo della sua elezione. Per fortuna. Pensate se al tempo degli appelli al M5S si fosse esibito in una delle sue filosofie del divano e del reddito immeritato.

Bonaccini è il percolato della sinistra. Una cosa che non esiste se non in contrapposizione alla destra. Lui e la sua sinistra non hanno idee né programma, e si rifanno ad un passato di cui instancabilmente citano solo nomi senza dottrine. Una poltiglia in cui ha accesso qualsiasi pensiero senza delineare nessun orizzonte ideale e programmatico. E’ abbastanza furbo, però, da capire che scendere in piazza col suo nulla era pericoloso. E allora si fece precedere da un nulla perfino più impalpabile, le sardine e il loro diritto giovanile a ricevere indulgenza e simpatia. Di loro, infatti, non è restato altro che questo diritto e le loro esibizioni anti: anti-fasciste, anti-razziste, anti-Salvini, dunque: pro-Bonaccini, che sotto la sua pelata lucida aspettava sornione di fare una politica più razionaria di quella che avrebbe fatto la sua avversaria Borgonzoni.

In una politica adusa ad agitare sentimenti al posto delle idee, anche Fabrizio Barca ha invitato Bonaccini a vergognarsi. Lui, il Barca, dal suo forum conosce bene la realtà della lotta di classe e il ruolo della politica nella produzione della disuguaglianza sociale. E certo non capisce cosa voglia dire la sinistra italiana quando parla di antifascismo e antirazzismo di maniera. Quando evita accuratamente le riforme sociali e soffoca nel politicamente corretto tutte le istanze di giustizia e di equità. Ecco allora, ad urne chiuse, la differenza tra i pensieri comunque onesti di un Di Battista e di un Travaglio. Ecco la distanza tra un rivoluzionario e un riformista. Al primo sfuggirà sempre il divario tra la politica di Giani e quella di Ceccardi, il guadagno che farebbe la gente a far perdere Fitto invece di Emiliano.