(Marcello Veneziani) – Se non fosse per l’età veneranda, il miglior candidato a prossimo presidente della repubblica italiana sarebbe un signore ecumenico, al di sopra degli schieramenti, dei partiti e della politica, senza appartenere ai tecnici o all’antipolitica. Uno che conosce l’Italia meglio di chiunque altro, che la studia da più di sessant’anni, la descrive con linguaggio immaginifico e la rappresenta nelle sue complesse armonie e disarmonie. Uno né di destra né di sinistra che cerca con realismo fiducioso di trovare motivi di speranza nel presente, lucido e credente, cattolico ragionevole, saggio. Uno che passò indenne dall’era democristiana e craxiana, dal compromesso storico e dal bipolarismo, poi dal berlusconismo e dall’antiberlusconismo, inclusa l’appendice renziana e ora attraversa incolume le ultime stagioni, compresi i saldi finali del contismo grillosinistro.
Sto parlando di Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis, l’istituto che da decenni scrive l’autobiografia collettiva degli italiani, biografia in movimento, in progress e in regress, per così dire. De Rita, già presidente del Cnel, prima che il dinamitardo Renzi provasse a farlo saltare, sociologo e guru.
Si affacciò il suo nome nelle elezioni presidenziali del 2006, ricevette una manciata di voti, ma fu eletto Napolitano; e quello sarebbe stato il tempo giusto per la sua anagrafe. Ora ha 88 anni, un po’ troppi per assumere l’anno prossimo l’incarico più arduo in un momento così difficile per l’Italia. Ma quando Pupi Avati mi ha detto che si dovrebbe puntare su di lui per il Quirinale, non ho potuto dargli torto.
Ho tra le mani un libretto di De Rita appena uscito, Come cambia l’Italia. Discontinuità e continuismo (ed. e/o, 8 euro, p.108) e mi sono quasi commosso. Il libro è uscito lo stesso giorno in cui è uscita l’Italia dal lockdown, il 3 giugno. Il saggio colpisce per almeno tre cose. La prima, caso più unico che raro, De Rita non solo pensa all’Italia ma pensa l’Italia. È cioè convinto che sia necessario pensare l’Italia prima di governarla, rifarla e disfarla. Per capire l’oggi bisogna prendere la rincorsa dal passato, paragonare l’Italia non solo al mondo circostante, ma anche al mondo retrostante, vedere da dove veniamo, farne la storia e cogliere i nessi di continuità. Occorre avere una visione dell’Italia, una visione complessiva; oggi magari lo dicono tutti, ma De Rita lo dice e lo fa da mezzo secolo e più. Ha uno sguardo duttile e curioso, ma non mancano punti fermi e tornanti.
La seconda è che la sua disamina troverà magari accordi solo parziali o tassi di dissenso più o meno elevati; io per esempio sono d’accordo a metà con quel che dice, predice e sostiene. Ma De Rita è uno dei rarissimi italiani che coglie l’intelligenza dei fenomeni e dei processi in corso, sa trovare il filo conduttore in un paese sfilacciato, scombinato. E sa imbastire con quel filo un arazzo di scenari e di prospettive che neanche i protagonisti sono in grado di capire. Non vuol portare l’acqua al mulino di nessuno, non è con la maggioranza né con l’opposizione, non è governativo, tecnocratico o protestatario.
La terza, quella che più induce alla commozione, è che De Rita ha ancora fiducia, ritrova elementi positivi in pieno marasma, cerca di argomentare la speranza alla luce della realtà. Trova rassicuranti elementi di continuità nonostante gli annunci di rottura e l’ebbrezza del nuovo assoluto. Vede perfino riemergere richieste di competenza in piena ignoranza militante al potere. E ravvisa in una società molecolare, abitata da soggetti ringhiosi e rancorosi, tracce di ispirazione non dirò comunitaria ma almeno sociale: le reti, i nodi, le filiere, le piattaforme, le tecnostrutture non rinverdiscono certo il tessuto sociale ma ravvisano a suo dire tracce di identità e di collettività che sembrano invece disperse agli occhi dei più.
In particolare De Rita riconosce due controtendenze in atto: da una parte gli sembra esaurita la spinta alla disintermediazione verticale, riemergono i corpi intermedi e le mediazioni, che gli sono da sempre congeniali. Dall’altra parte, gli pare finita pure la spinta alla discontinuità e riemergono a suo parere forme di continuismo, che è l’ultima traccia di tradizione possibile. Continuismo in De Rita assume un significato positivo e rassicurante, non è pigra stagnazione.
Coerentemente con le sue convinzioni, De Rita vuol poi salvare la carica di individualismo, di soggettività, di primato della persona dalla deriva egoistica, egocentrica e narcisistica. E vuol restituire centralità alla famiglia, come del più importante soggetto sociale ed economico del sistema Italia.
C’è un dannato bisogno di futuro, sostiene De Rita, di un futuro più energico e vitale, che per lui è anche futuro solidale, internazionale, tecnologico, civico, morale. E c’è bisogno di dare un futuro all’identità italiana, non rinserrandola dentro i luoghi e i confini né affidandola ai populismi ma riconoscendola nei flussi da e per l’Italia o che attraversano l’Italia, alla ricerca dell’Italia altrove (e qui discordiamo). Un’identità, dice, ha bisogno di una narrazione, non solo di storytelling. Poi riconosce le molle che spingono gli italiani verso il sovranismo (che non cita): più sicurezza di base e più certezze di senso. Nel rancore diffuso contro l’establishment c’è un “virulento bisogno di sicurezza collettiva”. De Rita non teme di ricordare la propensione italiana al trasformismo adattivo e definisce l’attuale contesa politica una guerra tra nani o “nanomachia”. E i “nani”, vendicativi, non lo voteranno mai per il Quirinale…
Panorama n.27 (2020)
Marcello Veneziani ne sa di famiglia come il Vaticano sa di donne e come un ubriaco sa di lampioni.
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Nonché ne sa di Censis come di astrofisica.
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“Un presidente per tutti gli italiani e non solo
con capatina allo Iulm”
tvsvizzera
Hypercorsivo di Massimo Donelli
Nelle stesse ore in cui Roma veniva flagellata sugli schermi di tutto il mondo per la scoperta dell’intreccio affaristico tra politica e criminalitàLink esterno (un mix perfetto di Romanzo criminaleLink esterno e GomorraLink esterno), nel cuore della Capitale è andato in scena uno spettacolo che definire miserando è fin poco.
Senza mostrare alcun imbarazzo, ma, anzi, ostentando un’incredibile e inaccettabile iattanza, il dottor Giuseppe De RitaLink esterno, presidente del CensisLink esterno (Centro Studi Investimenti Sociali), ha fatto ricorso perfino al turpiloquio pur di difendere l’indifendibile e rendere ancora più profondo il solco tra la castaLink esterno e il Paese.
Indifendibile, infatti, è la nominaLink esterno dell’ingegner Giorgio De RitaLink esterno, figlio di Giuseppe, a direttore generale del Censis.
Indifendibile è la leggerezza con cui gli altri 14 consiglieriLink esterno, in rappresentanza di primarie aziende italiane, l’hanno decretata, il 14 novembre scorso, assieme al padre-padrone.
Indifendibile è il modo in cui De Rita senior ha rispostoLink esterno a Annalisa AusilioLink esterno, una brava giornalista de il Fatto QuotidianoLink esterno che gli chiedeva cortesemente conto di questo sfacciato episodio di nepotismo.
Indifendibile è che le parole del padre presidente sul figlio neodirettore generale siano state pronunciate pochi minuti dopo la presentazione del 48° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2014Link esterno nel quale si può leggere che l’Italia umilia i giovani in cerca di lavoro.
Indifendibile è che l’ingegner De Rita, non proprio un bambino (ha 52 anni), abbia accettato l’incarico.
Indifendibile è la sua annunciata (dal padre) nomina a presidente del Censis nel 2015.
Indifendibile è il mutismo di De Rita junior dopo le inaudite affermazioni di De Rita senior.
Indifendibile è il silenzio della classe dirigente italiana, ossia imprenditori, manager, politici e direttori di giornale: forse troppo legati al presidente del Censis o forse troppo impegnati a beccarsi fra loro o forse, ancora, non proprio in grado di scagliare la prima pietra sul tema del nepotismo, hanno registrato l’accaduto come fosse una scheggia di routine, con l’unica eccezioneLink esterno di Massimo GramelliniLink esterno, vicedirettore de La StampaLink esterno.
Indifendibile, tutto ciò è indifendibile.
E danneggia l’immagine dell’Italia tanto quanto lo sbandierato verminaio politico-cirminale in cui è sprofondato il Comune di Roma all’insaputa (mah…) dei sindaci, che – da Francesco RutelliLink esterno a Ignazio MarinoLink esterno, passando per Walter VeltroniLink esterno e Gianni AlemannoLink esterno – ostentano sorpresa dichiarandosi bellamente ignari di quanto è accaduto attorno a loro (distratti? gabbati? ingenui?).
De Rita padre ci ha ammanito ogni anno per 50 anni (è entrato al Censis nel 1964, divenendone direttore generale nel 1974 e poi anche presidente) un rapporto in cui si denunciano severamente i mali del Paese.
Li ha visti ed elencati tutti.
Proprio tutti.
Tranne uno.
Quello che ha appena fatto a se stesso, a suo figlio, al Censis e, soprattutto, all’Italia.
Gli consigliamo, perciò, di meditare su queste parole del Vangelo di LucaLink esterno (6, 41): “Perchè guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”
Mance’ti verremo ad accogliere con lo “Zinnanna”
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Veneziani e’ un giornalista libero (pochi lo sono) e pulito, e non scrive al soldo di nessuno.
Certe offese sommarie andrebbero evitate sia da giornalisti di qualità’, sia da persone comuni che a volte sparano cannonate al vento.
Per giudicare liberamente e con serieta’ ed efficienza occorre essere bene informati e intellettualmente onesti.
Buon proseguimento.
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Liberissimo di dire cianfrusaglie, ecco!
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Tra tanti ciarlatani perche’ dovrebbe tacere proprio lui?
Cianfrusaglie a volonta’ le leggiamo sulle testate di ptoprieta’ dei ricchi massoni, e attraverso l’indottrinamento mediatico al servizio del Potere.
Chi ancora crede nella stampa libera non ha capito ancora un tubo, ma prima o poi capira’.
Gli intrighi di Potere lasciano tracce.
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Beati gli abitanti delle galassie
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Sopratutto si beano di non avere da fare con gli idioti italici, pasciuti a vaffa ed onestà di sta cippa!
Chiedo venia per il francesismo, ma se non mi adeguo non comprendono.
Livello underground, elevato a ruolo governativo grazie ad un pallone gonfiato che però i nostri eroi, spernacchiano da mane a sera.
Altro che banane repubblica delle, questa è la repubblica dei gonzi amministrati dai furbetti del laticlavio!
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Plastica.
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